giovedì 15 novembre 2018

"Cassette Futurism", la nostalgia d'un futuro tradito: dall'Impero Soviet al Minitel della Francia 3/3


Nel 1978 il Presidente della Francia Valery Giscard d'Estaing riceveva sul suo tavolo un rapporto di due ricercatori, Simon Nora e Alain Minc, che proponeva, per superare l'arretratezza dell'impianto tecnologico francese, una vera e propria rivoluzione digitale: la “telematica” (telematics) ovvero una fusione tra telecomunicazioni e informatica. 
Il rapporto delineava un piano per digitalizzare la rete telefonica, aggiungendovi un video teletext interattivo e fornendo agli imprenditori francesi una piattaforma aperta all'innovazione. 

Cinque anni dopo (1983), dietro diretto ordine del presidente, gli ingegneri informatici del Ministero della Posta, Telegrafo&Telefono (PTT) approntavano un sistema telematico presto noto alla popolazione come “Minitel”. 
Il piccolo sistema francese diventerà nel giro di pochi anni un inarrestabile juggernaut delle telecomunicazioni, capace di anticipare di dieci anni la democratizzazione di Internet, permettendo ai cittadini della Repubblica di scambiarsi informazioni online e di utilizzare diversi servizi disponibili appena nel duemila per il resto del mondo. 

Mentre le fonti inglesi ricordano il Minitel come un sistema statale e chiuso, rallentato da un'ottusa burocrazia, nella realtà il sistema è stato rivalutato negli ultimi anni come una forma di Internet alternativa – basata sull'infrastruttura francese, anziché americana – e straordinariamente avanti con i tempi. Al suo picco di popolarità l'umile Minitel offriva 20mila servizi online utilizzati dal larghe fasce della popolazione, non solo dagli addetti alle comunicazioni e dai geek fanatici dell'elettronica. 


L'artista Boros Szikszai ci accompagna anche per questo terzo e ultimo capitolo della miniserie

lunedì 8 ottobre 2018

"Cassette Futurism": una rivoluzione brutalista 2/3


Lo ricordo come se fosse ieri

Ma non sembrava ieri, sembrava il domani.

Ricordo il futuro
È morto una generazione fa. 
Fede nel futuro, intendo. 
Fede nell'ingenuità umana.
Nella soluzione fornita dal successo delle tecnologie. 
Altre età hanno sacrifici umani – il sole, la ragione, il sangue di una gallina - l'Inghilterra aveva la grandezza (bigness) e la novità (newness), una novità che è ora vecchia, ma ancora capace di suscitare sprezzante meraviglia per la combinazione di prodezza tecnologica e ingenuità morale.

Capace d'indurre puro ottimismo e confidenza cieca.
Capace di suscitare ancora nostalgia per il progresso, non importa dove conduca.
Tutto è possibile.

Remember the Future (1997)

"Calendar for the Hungarian Insurance Company" (1992), di Boros-Sikszai

mercoledì 3 ottobre 2018

"Cassette Futurism": salvare gli anni Ottanta dai fanboy nostalgici 1/3

Vogel in the Penthouse, di boroszikszai (1995)

Nuova Zelanda, ottobre 1999
Su un altipiano battuto dai venti, cinque figure infreddolite avanzano avvolte nei mantelli. 
La prima, un uomo di mezz'età vestito di nero e con una spada alla cintura, conduce un pony macilento. 
Le altre quattro indossano panciotti e pantaloni di campagna e strascicano indolenti giganteschi piedi pelosi, a uno sguardo attento protesi di lattice.
Uno di questi giovani uomini giocherella in tasca con un oggetto dalla forma rotonda, con una scritta sovra incisa e verniciato d'oro: un anello.
Mentre i cinque uomini camminano verso una collina poco distante, una moltitudine tanto silenziosa quanto indaffarata si affanna alle loro spalle. E' una folla di braccia e gambe irta di strumentazioni tecnologiche: lunghi pali grigi, una rotaia in miniatura sulla quale manovra un'astronave mediatica con un gigantesco cannone-cinepresa e più cavi dei fili di una ragnatela.
Un ometto grasso e ricciuto, con niente più che una t-shirt in quel freddo polare, dirige questo concerto di attrezzature: le cineprese scattano a girare, espellono videocassette, schioccano i sibili di polaroid e macchine fotografiche. Quella scena surreale, quei quattro uomini intenti a camminare, sono sotto l'assalto di un invisibile, pachidermico behemot di silicio: un amalgama di nastri, di cavi, di microprocessori che lavorano tutti assieme per trarre quanto sarà la ripresa di un film.
L'ometto grasso è infatti Peter Jackson, l'uomo di mezza età Viggo Mortensen e infine i quattro giovani “hobbit” sono Eliijah Wood, Sean Astin, Dominic Monaghan e Billy Boyd
Il regista sta girando una scena tra le tante, ancora incerto se verrà utilizzata o meno: Grampasso conduce quattro giovani mezzuomini verso la collina di Amon Hen, dove subiranno un attacco notturno dai nazgul.

venerdì 7 settembre 2018

Le Guerre delle Piramidi: fanta-archeologia italiana con Andrea Gualchierotti e Lorenzo Camerini


Sarebbe un campo di studio assai interessante e fecondo di applicazioni, anche al di fuori dell'orticello accademico, studiare il legame tra esoterismo e mondo della scrittura, tra i praticanti di arti occulte e i “maghidella parola
H.P. Lovecraft, un ardente materialista, ateo e convinto sostenitore del movimento tecnocratico, riciclava spesso paccottiglia esoterica nelle sue opere, dalle invocazioni magiche all'uso dei nomi, ad esempio nell'Orrore a Red Hook o ne Il Caso di Charles Dexter Ward. 
Se questo fatto è universalmente noto, come comprovano i tanti intellettuali che continuano a cascarci e i minus habens che provano a evocare uno Shoggoth in giardino, rimane invece meno conosciuta l'influenza dell'esoterismo d'inizio secolo sulla produzione fantastica anni Trenta. 
C'è un intero filone della saggistica, collocabile tra la fine dell'ottocento e i primi anni del novecento, scritto da storici, antropologi e studiosi dilettanti, dove si postulano le origini misteriose di continenti scomparsi, oggetti e reliquie sacre (o magiche, se preferite) e fantomatiche provenienze mitologiche dei popoli europei. 
Lungi dall'essere ironiche, sono narrazioni assai pesanti e dimenticate da tutti, tranne che dagli accademici: lunghe digressioni senza metodo e rigore scientifico, dove si inseguono le ipotesi più balzane per giungere a prevedibili conclusioni. 
Se storici, ci si diverte a inseguire il filo rosso di documenti manipolati ad hoc o in alternativa li si inventa da zero. In altri casi ci si improvvisa linguisti o glottologi, inventando radici primitive di parole comuni e correlandole ad antiche civiltà. 
Questi “ricercatori” erano il più delle volte professionisti della polemica, intellettuali col vizio dello scandalo o giornalisti: non interessava cercare la verità, ma fornire un antenato mitico alla propria nazione o gruppo etnico, per avvalorare un'azione nel presente. 

mercoledì 8 agosto 2018

Recensione di "Thanatolia" (Watson Edizioni): dove i morti seppelliscono i vivi


Copertina di Vincenzo Pratticò
Un cimitero presenta, nella sua stratificazione, nella sua diversità, nei suoi differenti quartieri e abitanti, visitatori e guardiani, la cultura della sua città, villaggio o nazione che dir si voglia. 
La storia di quel luogo, quel centro urbano, viene espressa dal suo cimitero. 
I cimiteri ricordano in tal senso le carote di ghiaccio estratte in Antartide, nella misura in cui rappresentano uno spaccato della storia di quella comunità, dagli albori al presente. 
Senza nemmeno addentrarsi nell'aspetto artistico e/o architettonico, i cimiteri costituiscono una testimonianza storica fondamentale per una comunità, che sia una capitale o un paesino campagnolo. 
Le origini ottocentesche di Trieste, ad esempio, affiorano evidenti nelle tombe borghesi e con simboli massonici, mentre il cimitero ebraico di Praga rappresenterebbe già di per sé tesso un motivo sufficiente per visitare la città. 
In alcuni casi i morti assumono tale importanza da sopravanzare i vivi ed è il caso della magnifica New Orleans; in altri ancora invece vengono costretti negli impossibili spazi delle sovrappopolate metropoli dell'estremo oriente, da Tokyo a Hong Kong. Quando poi il popolo non ha né storia, né cultura, si riducono a distese di croci bianche, come in tanti centri urbani degli Stati Uniti. 

Thanatolia eleva questo concetto all'ennesima potenza, elaborando un mondo fantasy dove esistono solo due città di esseri umani, Handelbab e il porto di Tijaratur, situate ai lati opposti di un continente popolato solo da cimiteri di ogni sorta, dalle piramidi, agli ossari, ai mausolei e così via...
Thanatolia è dunque un continente e allo stesso tempo uno sterminato luogo di sepoltura. In questo posto intere civiltà sono (letteralmente) morte e sono state sepolte... con ovviamente ogni ricchezza e oggetto magico. E qui entrano in gioco i tombaroli: avventurieri, tagliagole e mercenari alla continua ricerca della tomba con cui commettere il “colpo grosso” o in alternativa dove trovare quell'anello, quell'elmo magico desiderato dal committente. 
Thanatolia pertanto è un mondo sacro, innegabile, ma nel contempo è anche un mondo dove comanda l'avidità, dove gioielli e oggetti esoterici di altre civiltà, di altre razze ora scomparse dominano gli scambi. 
Chi comanda i morti, comanda Thanatolia e non deve pertanto sorprendere come la nemesi dei tombaroli siano i negromanti, coloro in grado di riportare in vita gli scheletri sotto le sabbie. 
Temuti, invidiati, perseguitati... i negromanti sono gli autentici feudatari dei territori di Thanatolia, una minaccia tanto per i tombaroli, quanto per le carovane dei mercanti. 

martedì 3 luglio 2018

New Camelot, di Lorenzo Davia: quando il fantasy diventa urban


New Camelot è il perfetto modello di una città, non il modello di una città perfetta. 
Scriveva così, riferendosi all'immane megalopoli, il sociologo Lewis Mumford, descrivendo bene la natura selvaggia, caotica e multi culturale di New Camelot. 
La città dei mulini satanici di William Blake, dove masse di umili lavoratori lavorano sotto la sferza delle oligarchie industriali, così come la città delle mille possibilità, dove all'angolo di ogni via potrebbe aspettare in agguato tanto il successo quanto il coltello di un teppista qualunque. 
New Camelot, New Camelot, città che non dorme mai: luogo di travolgenti successi e altrettanto travolgenti cadute, città dalle avveniristiche tecnologie e dalle ataviche magie. 
Le proprie case distrutte, i propri ambienti inquinati e sfigurati da una selvaggia industrializzazione: tutte le razze fantastiche si sono qui riunite, alla disperata ricerca di un lavoro, di una possibilità, di una vendetta. 
Gli elfi dominano gli ultimi livelli, nella qualità di dirigenti aziendali, di broker, di impiegati corporativi: una collocazione naturale per una razza di sociopatici opportunisti. 
Scendendo ai livelli inferiori, un melting pot di razze e creature fantastiche gareggia a farsi strada, a diventare qualcuno, ognuno con un sogno da realizzare. Centauri della polizia presidiano le strade, teste di cuoio orchesche rompono le teste di manifestanti goblin, nani meccanici aggiustano auto volanti e dovunque, dai bassifondi ai grattacieli corporativi, la razza umana supera tutti nel coraggio e nella stoltezza. Ma ognuno, in qualche modo, è convinto di avere una possibilità...
Perchè New Camelot è una città magica. Letteralmente. 

sabato 16 giugno 2018

Cyberpunk 2077, dalla Polonia con furore: un'analisi filologica, tra Moebius e Mike Pondsmith


Ho iniziato a dedicare uno o più articoli all'E3 di Los Angeles dai tempi del 2012, oramai sei anni fa, e devo ammettere che mai i videogiochi presentati si sono rivelati all'altezza dello straordinario hype nutrito da giocatori e giornalisti.
Esiste un mito dell'E3, un mito della kermesse los angelina come luogo di continue meraviglie; dall'altro e lo ammetto con amarezza, esiste la realtà di una fiera basata sull'industria videoludica, dalla quale non ci si può aspettare anteprime e prodotti qualitativi di anno in anno, di mese in mese.
I videogiochi richiedono tempo per essere progettati e costruiti; un dato che molti giocatori preferiscono ignorare e del quale ce se ne accorge solamente seguendo passo per passo il processo produttivo, nella forma ad esempio di un finanziamento via Kickstarter.
Ci sono così tanti ostacoli, così tanti costi, così tante ingerenze, così tante esigenze; produttive, tecniche, pubblicitarie, politiche, sociali, umane...
Quindi, sì, questo E3 2018 è stato un E3 più interessante di tanti altri, certo più ricco di annunci e anteprime, ma è continuata a mancare quella sorpresa, quell'assoluta meraviglia, quella IP inaspettata che tutti continuano a rincorrere: io, dal mio canto, mi sono messo il cuore in pace e a partire dai prossimi anni se mi capiterà di guardare qualcosa dell'E3, bene, contentissimo, altrimenti lascerò perdere, senza aspettare trepidante lo streaming delle diverse conferenze.

Mike Pondsmith, barman extraordinaire. Irraggiungibili livelli di coolness.

martedì 12 giugno 2018

"Mediterranea", di Francesco La Manno: alla scoperta del Med-Fantasy


Il Fantasy Mediterraneo viene definito come un sotto genere fantastico dove le mitologie e gli ambienti riprendono esplicitamente l'Europa meridionale e i suoi popoli, dalla Spagna, alla Provenza, all'Italia, fino ai Balcani e alla Grecia. 
Solitamente il genere si propone come esplicitamente italiano, con una predilezione per la Grecia classica e l'Impero romano. 
In alcune rare occasioni il genere si allarga a considerare l'Africa settentrionale e il Medio Oriente, con evidenti lasciti dalle Mille e una Notte. 
Il riferimento esplicito a un luogo, ovvero il Mediterraneo, rappresenta bene il paradosso di questo genere: si tratta di un fantasy geograficamente vincolato a un determinato luogo e pertanto a una determinata storia. 
Il tono generale rimane improntato all'heroic fantasy, ma l'aggettivo “mediterraneo” necessariamente obbliga a un'ambientazione storica. Il genere high fantasy specifica una determinata tipologia di fantastico e allo stesso modo, all'esatto opposto, il low fantasy sottolinea una tendenza opposta. 
Si tratta di modi di scrivere un fantasy, ma non ne predicano i contenuti. Il grimdark contiene già alcune indicazioni di natura estetica, ma generalmente la violenza insita nella sua definizione può essere applicata al contesto che si preferisce, purché brutale e terra-terra. 
Il cosiddetto Fantasy Mediterraneo pertanto diventa spesso una forma di romanzo storico con elementi fantasy, laddove invece ci si potrebbe aspettare un romanzo fantasy con una base storica. Quando non si menziona una chiara ambientazione storica o si tratta di un mondo alternativo al nostro, i riferimenti rimangono evidenti: un impero dove i suoi abitanti parlano latino, si riferiscono agli altri paesi come “barbari” e hanno arene con giochi gladiatori difficilmente è fantasy. Si tratta, in questo esempio, di un gioco di riferimenti tra scrittore e lettore, dove il divertimento non deriva dalla scoperta di un mondo nuovo, ma dal comprendere a quale personaggio o evento storico corrisponda quell'invenzione, quel colpo di scena dell'autore.
Si tratta ovviamente di giochi speculativi, che non tolgono o aggiungono nulla al prodotto finale: non conta se un'opera è fantasy o bizarro fiction o horror, conta se è scritta bene, con una trama intelligente. Classificare in generi e sottogeneri solitamente determina una tassonomia senza vita, similare a quei collezionisti senz'anima che punzonano con lo spillo splendide farfalle nelle loro tristi bacheche. In alternativa il recente rilancio del Fantasy Mediterraneo con Heroic Fantasy e Hyperborea propone, per così dire, un sottogenere dentro un altro: all'interno del fantasy, l'heroic fantasy howardiano e all'interno di quest'ultimo, il Fantasy Mediterraneo.
Tattica ingegnosa, perchè impedisce ogni ambiguità storica.

venerdì 1 giugno 2018

Warhammer Adventures: opportunità di crescita o rovina dell'hobby?


Il canale ufficiale della Games Workshop ha annunciato una settimana fa una nuova serie di libri dalla casa editrice ufficiale, la Black Library: “Warhammer Adventures”, una nuova collana prevista nel 2019 “per ragazzi e ragazze dagli 8 ai 12 anni”, con “protagonisti più giovani del solito che vivono emozionanti avventure e affrontano pericolosi nemici”. 

Si tratta di storie “scritte dai migliori autori con esperienza nella scrittura fantastica per ragazzi, e saranno il modo perfetto per introdurre i tuoi figli, fratelli, nipoti e altri giovani fan nella tua vita, nell'hobby che ami, dando loro il primo sguardo agli incredibili mondi del 41' Millennio e dei Reami Mortali.”

Il primo titolo per Warhammer: Age of Sigmar sarà “Realm Quest: The City of Lifestone”, di Tom Huddleston e il primo titolo per Warhammer 40000 sarà “Warped Galaxies: Attack of the Necron”, di Cavan Scott. Sia Tom che Cavan hanno lavorato a lungo per un pubblico giovane, con diverse collaborazioni alla serie di Star Wars. 

martedì 1 maggio 2018

Il supremo inganno degli anni Ottanta


The Forest” (1982) viene definito tra i più brutti slasher degli anni '80, ma in realtà, se lo si considera come un film a bassissimo budget girato in meno di due settimane, si rivela sorprendentemente godibile: proprio il suo essere inattuale, proprio il suo essere documento storico di quell'anno, di quel periodo, lo rendono prezioso. 

In quanto storico, tanto materiale afferente al mio ambito, cioè il Risorgimento, è spazzatura: poesie, pamphlet, romanzi totalmente illeggibili sotto il profilo della trama, dell'approfondimento psicologico dei personaggi, della coerenza interna. Tralasciando come il giudizio su queste opere sia distorto da quanto siamo abituati a leggere e “sentire”, non ci interessa dare voti su una testimonianza storica, piuttosto dobbiamo cercare di trarne delle indicazioni sul periodo. In tal senso è assurdo scrivere recensioni di film e libri degli anni '70, o '60, o '50, con tanto di pagelline agli attori e alla regia: sono opere storiche, non ne vedo il senso. 

Cosa pensereste di una blogger di moda che recensisce un corsetto vittoriano? 
O di un esperto di tecnologia che recensisce un telegrafo? 
O di un fanatico delle automobili sportive che recensisce una carrozza rococò? 
Sono opere interessanti in quanto inattuali, that's all. 

venerdì 27 aprile 2018

FantaTrieste, di Luigi R. Berto: quando la fantascienza è di casa


Mi sono sempre chiesto se certe caratteristiche, nel bene e nel male, degli autopubblicati siano veramente attribuibili alle edizioni elettroniche o semplicemente riflettano atteggiamenti di chi intraprende questa strada. 

Il libro in questione, “FantaTrieste” (1973), di Luigi R. Berto, è chiaramente un autopubblicato. 

Luigi R. Berto (1913-1983), a volte noto come “Giulio Bert”, è stato un grande scrittore della fantascienza triestina, oggigiorno completamente dimenticato. 
In seguito a una formazione in geologia e mineralogia, tra gli anni '50 e '60 si dedicò con passione all'astronautica e alla fantascienza, divenendo attivo divulgatore delle imprese dei pionieri dello spazio. Pubblicò sul “Piccolo” una storia della fantascienza a puntate, per attirare interesse verso il primo omonimo Festival a Trieste; in seguitò pubblicò numerosi racconti sulla rivista romana “Oltre il Cielo – Missili&Razzi”.
Fondatore per suo conto di un “Centro diffusione scienze astronautiche e tecnologie dello spazio”, intraprese poi la durissima strada dell'autopubblicazione cartacea pubblicando diversi racconti e antologie con lo ciclostile, in seguito inviati agli interessati per mezzo di posta. 
Forse il suo maggior successo di divulgatore fu una mostra organizzata al CCA di Trieste sullo Spazio, con fotografie e modellini, rivolta verso quanto ci si augurava il futuro dell'umanità. 

Negli ultimi mesi sono giunto a conoscenza con un gruppo di scrittori e blogger triestini di fantascienza, chiamato “FantaTrieste”, e nell'ambito di un progettino di scrittura che coltiviamo da tempo ci è sembrato benaugurante recuperare quest'antologia nostra omonima. Fabio Aloisio, finalista all'Urania Shorts 2017 e Robot 2018, è stato così gentile da prestarmi il volume consunto e non sono riuscito a trattenermi dal recensire quest'autentica capsula temporale dal 1973.

martedì 24 aprile 2018

Dungeons & Dragons non è mai esistito


Quando andavo alla scuola media, rimasi affascinato, nella sezione adulti della biblioteca popolare di Trieste, da una lunga fila di manuali riccamente illustrati e rilegati, ciascuno del peso di un dizionario di latino: si trattava dell'edizione del '2000 di Dungeons&Dragons 3.5, Wizards of the Coast
Una serie di titoli enigmatici: Manuale del Giocatore, Manuale dei Mostri, Guida del Dungeon Master.
Mi sono spesso chiesto quale utente della biblioteca abbia approfittato del sistema di richiesta dei libri per ordinare questi giochi di ruolo, oltre a D&D, un'estesa linea di volumi di vampiri e licantropi della White Wolf, “Mondo di tenebra”. 
Li presi a prestito – nonostante la disapprovazione della bibliotecaria – e ci trascorsi un interessante fine settimana. 
Avevo forse dodici? Tredici anni?
L'odore della carta, le illustrazioni, il layout con la pergamena in trasparenza... una quantità di particolari al limite dell'autismo, che tuttavia non detraeva dall'incomprensibilità delle regole.
Letteralmente non capivo come si giocava. 
Avevo afferrato il concetto: master come arbitro, manuale per i giocatori, mostri da cui attingere per i dungeon. Le meccaniche tuttavia erano confuse, si saltava da un argomento all'altro, non si capiva da dove iniziare. Dal semplice manuale non c'era una guida passo per passo, ma una sorta di confusa enciclopedia. Nello stesso periodo giocavo a Warhammer Fantasy VI edizione, ero abituato a tabelle, schemi, liste, punteggi... eppure questi manuali mi suonavano astrusi quanto il peggiore problema di matematica. 
Anni dopo, alle Superiori, giocai a D&D, anche se non sono mai stato un “vero” giocatore di ruolo, preferendo sempre i wargames con miniature, sebbene abbia sempre conservato del ruolo il nocciolo della storia e del background. 

mercoledì 11 aprile 2018

Fantasy senza fantasia, ovvero la maledizione del minimalismo


Due fattori fondamentali concorrono nella scrittura fantasy, accanto alle elementari norme dello stile e della storia: equilibrio e convinzione.

Sono convinto, in quanto blogger e lettore di lunga data, non scrittore, che la qualità di un'opera fantasy dipenda dall'abilità di giocoliere con la quale lo scrittore gestisce gli elementi fantasy al suo interno. Non solamente nell'effetto a catena secondo cui quanto più prevalente è il fantasy, quanto più diventa facile scadere nella contraddizione e nell'improbabile, ma anche nella misura in cui il fantasy viene gestito di per sé stesso. 
Ovvero: si può avere un elemento fantasy considerato seriamente (Tolkien) o a effetto comico (Pratchett). Si può scrivere un libro come Il Signore degli Anelli solo per avere un veicolo con il quale mostrare i propri studi linguistici, o si può procedere a creare un mondo fantasy per dimostrare la propria geniale verve satirica. Il secondo non è più improbabile del primo, né meno erudito. Tuttavia sono forme diverse di approccio al fantasy
Quindi, accanto all'elemento della qualità, andrebbe fatto risaltare il tono del fantasy, quale approccio prediligere. Si può disporre di un elemento fantastico mutuato dalla fantascienza, come con la narrativa di Andre Norton recensita su Heroic Fantasy Italia, o mutuato dalla mitologia, o ancora inventato da zero, o animato da un'ideologia politica di base (China Miéville).


mercoledì 4 aprile 2018

Il ritorno di Eisenhorn: "The Magos", di Dan Abnett


C'è chi desidera saper scrivere bene come Hemingway, saper scandagliare gli abissi dell'animo umano come Dostojevski, terrorizzare il lettore come Stephen King, guadagnare e diventare famoso quanto George RR Martin
Mirare ai grandi, che siano contemporanei o classici, è naturale per qualsiasi aspirante scrittore. 
Ci si forma sui propri autori preferiti, si cerca di imitarli, si desidera il loro successo, il loro riconoscimento. 
Siamo nani sulle spalle dei giganti, anche nell'ambivalenza propria del gigantismo: spesso, dopo anni, questi classici, questi “grandi”, appaiono meno originali e intelligenti di quanto si pensava in gioventù. 
Ad esempio, Neil Gaiman è un grande scrittore. Innegabile. Tuttavia è stato anche uno scrittore estremamente fortunato. Letteralmente, in seguito agli studi, ha trovato impiego come sceneggiatore in seguito alla conoscenza con il dio Alan Moore
Non ha faticato presso case editrici, non ha sputato sangue implorando visibilità, ha semplicemente avuto fortuna. 
Il suo lavoro era notevole, ma così lo erano tanti altri, che pure languono nell'oscurità dell'anonimato. 
Spesso, tra questi “giganti”, il fattore fortuna gioca un ruolo talmente cruciale da disarmare qualsiasi proposito d'imitazione. 
A volte si tratta semplicemente di essere uno scrittore negli anni '80/'90 in un paese in lingua inglese e di scrivere il genere che tutti desiderano leggere. 
Questo non sminuisce il valore di quanto si scrive, né sottovaluta i classici. 
Tuttavia mi domando se non sia il caso di prendere come modello scrittori “medi”, quelli che vengono definiti “mestieranti” e considerare con attenzione come sopravvivono e come scrivono. 
A meno di non essere assoluti geni, siamo più vicini a “loro” che a uno Shakespeare, un Dickens, un Asimov. 

lunedì 2 aprile 2018

Quando Snowpiercer incontra La bussola d'oro: “Above The Timberline”, di Gregory Manchess


Quando iniziò a nevicare, continuò per millecinquecento anni
Lo spostamento dei Poli profetizzato dagli antichi climatologi finalmente avvenne e la topografia della Terra fu rivoltata come un guanto, il clima mutato per sempre. La Terra è ora ridotta a una palla di vetro con la neve dentro, un mondo dove la neve ricopre con il suo uniforme manto ogni cosa, raggiungendo in alcuni casi profondità sconosciute.

Le vecchie nazioni scomparse per sempre, la tecnologia perduta: l'uomo è sopravvissuto a stento, lentamente ricostruendo una civiltà ferma al 1920/30. Aerovascelli sorvolano distese di conifere e barriere di ghiaccio, tribù di inuit predano su carovane di automezzi blindati, aeroplani ad elica esplorano le nuove frontiere. Un nuovo mondo di scafandri per l'alta pressione, di piloti dai giubbotti di pelle, di tecno-nomadi amici con gli orsi polari.


lunedì 26 marzo 2018

The Great White Space, di Basil Copper: il meglio dell'omaggio lovecraftiano



Inghilterra, 1930
In seguito all'ubriacatura dei Roaring Twenties, nuvole di guerra si addensano nell'Europa continentale, mentre l'Impero Britannico consolida inquieto il suo dominio coloniale, dall'Africa, all'India, ai più remoti avamposti dell'Asia.

Frederick Plowright è un fotografo professionista, che si è fatto un nome partecipando a diverse missioni esplorative di scienziati e antropologi in tutto il mondo. 
Un uomo rigoroso, preciso, totalmente devoto alla sua arte; eppure incline, suo malgrado, a fantasticherie e visioni febbrili. 
Giovane, ma insoddisfatto, Frederick accetta un'offerta di lavoro peculiare: una missione di ricerca di un anziano professore, Clark Ashton Scarsdale, che dichiara di voler esplorare il grande nord. Forse l'Antartide, dove nello stesso periodo, un'altra spedizione della Miskatonic University è andata perduta...

Introdotto nella villa di Scarsdale, Frederick scopre come la destinazione sia tutt'altra, occlusa per segretezza: una sconosciuta contrada nel profondo oriente, tra la Mongolia, Burma e la Cina al confine occidentale, oltre il deserto dei Gobi.
Scarsdale, dopo decenni di ricerca nei più svariati campi scientifici e pseudoscientifici, ritiene di aver scoperto quanto definisce “The Great White Space”. Si tratta di un portale extra dimensionale, descritto nel testo di occultismo “The Ethics of Ygor”, come “Un Grande Spazio Bianco”.
Un varco di accesso, dove le leggi scientifiche vengono distorte e sovvertite, attraverso il quale aliene e superiori entità chiamate gli “Old Ones” entrano in contatto con la Terra. Scarsdale desidera trovare il Portale, studiarne la composizione ed eventualmente essere il primo ambasciatore della razza umana a entrare in contatto con gli Antichi.
La spedizione è bene equipaggiata, con cinque semicingolati dell'esercito, ampie provviste e contatti sul posto: tuttavia Frederick rimane turbato quando scopre tra le provvigioni una mitragliatrice, bombe a mano e addirittura fucili per la caccia agli elefanti.
Il riserbo di Scarsdale sull'effettiva natura del viaggio non può mascherare quanto sembra essere più un mostruoso safari che una spedizione scientifica...

lunedì 19 marzo 2018

Hellraiser, di Mark Alan Miller: un dovuto Tributo


Kirsty Cotton è in fuga.
In seguito alle disavventure narrate in “Schiavi dell'inferno” e nel primo film di “Hellraiser”, Kirsty ha imparato a camuffare voce e identità, a cambiare passaporto con la facilità di un respiro, eternamente in viaggio. 
Sono infatti passati trent'anni dall'istante in cui lo sfortunato Rory ha spillato sangue nella casa di “Zio” Cotton, permettendo all'anima dannata di reincarnarsi nel mondo reale, con il soccorso mefitico dell'adultera Julia. Dal momento in cui Kirsty ha dischiuso il cubo di Lemarchand, consegnando il recidivo Frank a un insoddisfatto Pinhead, la ragazza ha sempre saputo di aver solo rimandato il suo momento, di aver solo ingannato il tempo prima che i cenobiti la incatenassero alla minaccia/desiderio propria di chi dissigilla il cubo. 
In seguito a una misteriosa lettera di un professore di teologia dove si accenna a un'Apocalisse in arrivo, connessa a Pinhead e al cubo di Lemarchand, Kirsty non ha altra scelta che affrontare il suo nemico nella sua stessa tana: l'Isola del Diavolo, dove secoli prima, il misterioso costruttore di giocattoli architettò la Configurazione dei Lamenti. 
Uno scontro rinviato trent'anni è ora inevitabile...

lunedì 12 marzo 2018

Monsters, di Clive Barker: un mostro di bravura


Emergenza sangue nella nazione dell'horror, regione splatterpunk, provincia Clive Barker, comune “Books of Blood”: termina ufficialmente con questa sesta antologia di racconti la rilettura barkeriana. 
E quale magnifica, folle, cavalcata: dai territori intrisi di gore degli esordi, a una vasta pletora di futuri adattamenti fumettistici e cinematografici, alle premonizioni weird e dark fantasy delle opere successive. 
I “Libri di Sangue” si possono leggere nell'ordine e nelle preferenze che più aggradano, come dimostrano le riedizioni e le antologie successive, tuttavia danno il loro meglio quando si procede nell'ordine originario, in modo da constatare la graduale evoluzione di Barker, sia nel senso dell'utilizzo di strumenti narrativi e stilistici sempre più raffinati, sia nella padronanza delle diverse idee, spesso compresse nell'arco di poche pagine.

Il tempo sarebbe un ottimo maestro, se non fosse che uccide tutti i suoi alunni.
La relativa immortalità della letteratura le permette tuttavia di sfuggire questo fastidioso inconveniente, solitamente dando giustizia allo scrittore quando ormai è nella tomba, morto di fame, povertà o cure mediche che non poteva permettersi. 
Il che implica, tra parentesi, un ovvio imperativo: sostenete gli scrittori quando sono in vita e lasciate le commemorazioni a rari casi.
Il ragionamento vale per Edgar Allan Poe e si è visto riconfermato con HP Lovecraft.
Clive Barker è fortunatamente vivo e famoso, ma persino nel suo caso il tempo gli sta finalmente dando giustizia, regalando all'oblio le assurdità e le banalizzazioni con il quale era stato propagandato negli anni ottanta.

lunedì 5 marzo 2018

Visions, di Clive Barker: carceri, complotti e leggende metropolitane


Quinto e penultimo volume dei “Libri di Sangue”.
Stavo riflettendo sulle precedenti (ri)letture barkeriane e ho concluso che Barker mescola tre diverse tecniche, in quello che scrive.
In primo luogo, Barker è ovviamente uno scrittore ricercato, senza timore di usare a fondo il dizionario
Quest'aspetto, penalizzato dalle vecchie traduzioni, risalta nelle descrizioni e nella generale atmosfera raffinata dei suoi racconti, quand'anche abbondano budella strappate e morti violente. “Testacruda Rex” è un ottimo esempio.
In secondo luogo, Barker è generalmente disinteressato alle metafore spicce, ai simbolismi insistititi, al racconto come messaggio, che sia morale, politico, intellettuale e così via. Quanto ricerca e ama è il potere dell'immaginazione, che gli permette nel contesto delle sue opere un gusto per lo strano e il bizzarro senza giustificazione alcuna. 
Si può criticare quest'elemento come cattiva scrittura e teoricamente sono d'accordo nelle critiche di S. T. Joshi.
In terzo luogo, Barker è un autore romantico e come tale commenta e guarda da dietro le quinte, nelle vesti del demiurgo onnisciente le vicende dei suoi meschini protagonisti. 
I personaggi delle sue storie inoltre agiscono a loro volta guidati da un sacro fervore; quando il soprannaturale si manifesta raramente si scivola nel volgare o nella narrativa per ragazzi, dove il virile protagonista “accetta” l'orrore con motosega e fucile a canne mozze. L'incontro con il soprannaturale genera piuttosto una trasformazione, con punti di contatto nell'estasi religiosa.
E tuttavia lo stile di Barker non scivola mai nella volgarità, sebbene concedendo tutte le scene di sesso e di gore che si potrebbe aspettare dalle sinossi. Pur con il sacro fervore e il romanticismo innegabile dell'autore, c'è un certo distacco, un'ironia, un humor asciutto e tagliente.
Una strana combinazione.

lunedì 26 febbraio 2018

Creature, di Clive Barker: un horror alla mano


Non esistono freni sul treno di Barker: si sale e non si scende, fino a quando non si arriva a destinazione, qualsiasi essa sia: può essere l'una di notte, le nove del mattino, il mezzogiorno di una pausa pranzo. 
Quando s'inizia a leggere, non si riesce a smettere. 
Il quarto volume dei “Libri di Sangue” costruisce sulle fondamenta dei precedenti, con un Barker ormai a suo agio con la kinghiana cassetta degli attrezzi forgiata con i primi racconti. 

Le storie tendono ormai a diventare veri e propri racconti lunghi, dilatano scene e approfondimenti psicologici, mentre si abbandona gradualmente le rivisitazioni dei classici, così come tutto il vecchio ciarpame di angeli, demoni, pentacoli, ecc ecc
Al contempo, c'è ancora un gancio, in quest'antologia del 1985, ai primi lavori e un'idea di horror classica, con tutti i suoi limiti e vantaggi. 
“Apocalisse” è una ghost story originale, ma che rientra nei canoni del genere; “Vade Retro, Satana” è una storia ammonitrice dentro una tradizione gotica di vecchissima data. E nel contempo... la modernità di “Libertà agli oppressi”, de “La condizione inumana” e sopratutto del cronenberghiano “L'età del desiderio”: si avverte, giunti a questa fase, una spaccatura netta nella produzione barkeriana degli inizi.
Con nostra fortuna e come dimostreranno i lavori successivi, ha prevalso la linea immaginativa e non l'horror da un tanto al chilo al supermercato...

venerdì 23 febbraio 2018

"Mondo Plastica", della Radium: estetica giapponese, storia occidentale


Ricordo come se fosse ieri la prima campagna crowdfunding della Radium, ovvero “Rim City”.
Ricordo il primo giorno, l'esordio con quella soglia che sembrava irraggiungibile.
Ricordo i backers riluttanti, i fan che non sapevano usare Indiegogo, la frenetica campagna, gli omaggi dei colleghi disegnatori e le condivisioni, i nuovi perk e il rush finale...
Ricordo il meritatissimo, inaspettato, successo. Non era affatto poco che una campagna crowdfunding per un fumetto raggiungesse simili cifre, pur con la mente, il braccio e le migliaia di fedeli seguaci del Doc Manhattan. Era un risultato impressionante. Anzi, è tuttora un risultato impressionante. Come altrettanto impressionanti risultarono le successive campagne, tutte parimenti eccentriche, tutte parimenti testardamente uniche, tutte parimenti completate con successo, da “Quebrada” al lovecraftiano “Shadow Planet” tanto analizzato qui su Cronache Bizantine.

La nuova campagna partita la scorsa settimana meritava una menzione tutta speciale per tante sue caratteristiche: dopo “Shadow Planet” e dall'esordio nel 2015 con “Rim City” raramente leggevo di un fumetto altrettanto interessante.
Non si tratta di originalità, nel caso di “Mondo Plastica”.
E non si tratta nemmeno di qualità grafica, seppure superba nel suo complesso.
Si potrebbe invece scrivere di un perfetto connubio tra diversi fattori, tutti egualmente eccellenti.


lunedì 19 febbraio 2018

Sudario, di Clive Barker: il fascino tossico del cinema


La rilettura dei “Libri di Sangue” di Barker procede con lo stesso ritmo forsennato di un cuore tachicardico: meno d'una settimana per completare il terzo volume, intitolato nell'edizione Sonzogno, “Sudario”.

L'aggettivo “lovecraftiano” sottintende un'adesione alle idee e all'immaginario di HP Lovecraft.
Mi sembra implicito nel termine: lovecraftiano, di Lovecraft, appartenente allo scrittore. 
Il problema sta nella delimitazione di cosa si dovrebbe considerare “lovecraftiano” e cosa invece costituisce patrimonio comune dell'horror. 
Ad esempio un racconto dove il protagonista viene assalito dai topi, non è un racconto lovecraftiano, nonostante la gemellanza con “I ratti nei muri”. Cifra distintiva di quella storia non erano solo i topi, ma la discendenza genealogica, la maledizione genetica perpetuata di generazione in generazione, la discesa nella follia... troviamo ovunque storie horror con ratti assassini, non sono certo un elemento lovecraftiano. 
Allo stesso modo, i portali extra dimensionali sono esistiti dagli albori della letteratura popolare, dalle dime novels, dal pulp, dalla fantascienza dozzinale. Il concept “entità aliena proveniente da un'altra dimensione” non è certo propriamente lovecraftiana. Tuttavia, se quell'esistenza aliena con il suo stesso esistere pone in negazione la Terra e tutto ciò che definiamo “realtà”, o in altre parole, se quell'entità smentisce lo stesso concetto di “esistere”, come il costrutto verbale associato a questo termine, come la stessa possibilità di formulare un pensiero... forse ci stiamo avvicinando a qualcosa che si potrebbe definire lovecraftiano, nel senso che sprigiona un autentico terrore esistenziale.

lunedì 12 febbraio 2018

Ectoplasm, di Clive Barker: surrealismo e body horror


“L'uomo illustrato” di Ray Bradbury è un'antologia di racconti che presenta come voce narrante un uomo completamente tatuato, capace all'occorrenza di animare i propri disegni col fine di raccontare una storia. I singoli racconti corrispondono ai diversi tatuaggi dell'uomo, che “illustra” così la raccolta. 
La serie dei Libri di Sangue, di Clive Barker, esibisce una versione horror di quest'artificio di Bradbury: nel primo racconto dell'antologia, Infernalia, la storia è letteralmente narrata sulla pelle del protagonista, dando così vita alla sigla introduttiva della serie, “Siamo tutti libri di sangue/in qualunque punto ci aprano/siamo rossi”.

In occasione dell'uscita a marzo del seguito di Hellraiser e della contemporanea uscita adesso a febbraio di Hellraiser: Judgement, ho pensato d'iniziare una rilettura dei Libri di Sangue di Barker, da concludersi tra tre settimane o giù di lì in coincidenza con la versione italiana della Independent Legions. La serie dei Libri di Sangue si compone di sei antologie di racconti con le quali Barker esordì nella seconda metà degli anni '80. Si tratta di un corpus unico di storie, che per quanto diverse, appaiono firmate dall'identica sensibilità splatterpunk, controcorrente e fortemente ironica. Si trattava già di un successo lusinghiero che Barker riuscisse a pubblicare e guadagnare negli anni dove più dominava nell'horror il formato del romanzo lungo di King, ma lascia a distanza di decenni stupefatti constatare quante e quali idee Barker avesse inserito in così poche pagine. Come lettore e blogger, devo ammettere che preferirei un ritorno di un formato del genere, adatto all'ebook, piuttosto della fase kinghiana della seconda metà degli anni '90, quando Barker vergava imponenti colossi indigeribili come “Galilee” e “Il Canyon delle ombre”. Costituiscono per un fan opere imperdibili e ancora un volta dalle idee originali, ma rimane innegabile una terribile dispersività di scene e personaggi nel mare magnum di capitoli su capitoli di eventi quotidiani.
Avevo già in precedenza recensito il primo libro, Infernalia, e anche se non sopporto lo stile con il quale scrivevo all'epoca, rimango d'accordo col giudizio: una buona raccolta e un buon esordio. Col senno di poi rivaluterei quel gioiellino di potenza visiva strafottente che è l'ultimo racconto, “In collina, le città”, oltre all'incipit alla Bradbury, “Il libro di sangue”, per l'appunto.
In Italia Clive Barker è famigerato per la discontinuità delle traduzioni e i prezzi su Ebay lievitano a numeri da capogiro. Il mio consiglio è come sempre di rovistare nei mercati dell'usato “reali”, dove il venditore, specie se anziano, si limita a considerare i romanzi di Barker come tascabili di scarso, se non nullo valore. Il disprezzo per il genere horror gioca a vantaggio del lettore, perchè automaticamente deprezza il valore del testo. Le edizioni più diffuse sono quelle Sonzogno, risalenti alla ristampa del '2000, ma trovate anche numerose e valide scans online, Scribd compreso.
Infernalia ed Ectoplasm sono in seguito stati ristampati e sono ancora disponibili dalla Castelvecchi editore, con gli arbitrari titoli “Le stelle della morte” e “La sfida dell'inferno”.
Il recupero e il successo delle uscite inedite della Independent Legions mi lascia tuttavia fiducioso che Barker possa finalmente venire recuperato. Nel frattempo, è doveroso supportare ogni sforzo italiano in questa direzione.

venerdì 9 febbraio 2018

Altered Carbon: segreti e citazioni della serie tv


Fan Art di Hidrico Rubens
La serie di Takeshi Kovacs, di Richard K. Morgan, è una trilogia di libri cyberpunk che smentisce lo snobismo e il rimprovero d'eccessiva letterarietà del genere. 
William Gibson è stato spesso accusato di scrivere con uno stile incomprensibile, Bruce Sterling si diletta con barocchismi; il tutto non fa che evidenziare la povertà stilistica della fantascienza, dove il riferimento e l'esplicita ripresa di un canone “alto” allontana il lettore di genere, mentre la struttura fantascientifica allontana il lettore mainstream.

Richard K. Morgan, in tal senso, si pone dentro un'altra tradizione, ovvero quella del pulp.
I suoi libri sono una formidabile macchina narrativa dove il motore è un action muscolare, la benzina un ritmo forsennato, la carrozzeria descrizioni attente e feticistiche, mentre infine a trattenere questo bolide della velocità cyberpunk ci pensa un guardrail tanto noir quanto di fantascienza hard. 
In altre parole Richard K. Morgan è un autore che sfrutta il cyberpunk per spingere il pulp verso una terra incognita di estremi raramente toccata da qualsiasi categoria.
Come ho scritto in altre occasioni, se c'è una narrativa sotto steroidi, è questa. Il cuore letterario batte debole, rischia più di una volta un infarto, ma i muscoli del genere brillano alla luce del neon.

lunedì 5 febbraio 2018

Il virtuoso della realtà virtuale


E' usuale pensare per chi non ha mai usato il mercato dell'usato, che si trovino occasioni e offerte al di là di ogni realistica previsione. Libri antichi gettati nella spazzatura. Grimori antichi smarriti sugli scaffali a un euro. Lampade magiche. Tappeti volanti. Venditori onesti.
Ora, non ho idea sul mercato dell'oggettistica. 
Sono solo un povero blogger che dalle superiori all'università passa molto del suo tempo nelle rigatterie alla ricerca di libri interessanti. So ad esempio che gli abiti, ammesso e non concesso che siano convenienti, risultano spesso impraticabili, perché sempre troppo piccoli, troppo stretti, troppo angusti. Avevo un collega che amava indossare vestiti degli anni '50 e pur essendo di corporatura, altezza e peso nella media, falliva nell'indossare più della metà degli abiti che trovava. Dal 1950 in giù, l'essere umano era uno gnomo, un nano macilento. Basti guardare le foto dei soldati inglesi nella seconda guerra mondiale: una vasta parata di tisici, di facce esangui, di dita scheletriche, di mustacchi spelacchiati. I corpi cambiano a seconda dei decenni, è un dato da considerare con attenzione tanto nello studio quanto nella ricostruzione di film e romanzi. 
E i libri. Oh, i libri. La quantità di libri in arrivo nelle rigatterie supera di gran lunga qualsiasi livello di assorbimento del lettore più inveterato. Migliaia su migliaia di tascabili. Colonne di Harmony. Scaffali su scaffali accatastati di manuali di medicina degli anni '60, di politologia sovietica degli anni '70/'80 e di gossip e tormentoni politici del secondo dopoguerra di scarso interesse allora e di nessuno oggigiorno. Testi già vecchi in partenza, buoni solo l'innesco del focolare.
Si trovano ovviamente gemme e curiosità rare, sfuggite all'aumento di prezzo del rigattiere, mimetizzati nell'intersezione tra il romanzo americano “più venduto negli ultimi dieci anni” e ora dimenticato e l'ennesima auto produzione italiana tutta vanagloria e niente sostanza. Ho acquistato saggi di storia a un euro altrimenti fuori produzione e disponibili solo in biblioteca, così come ho trovato a poco meno di tre euro “Il Corvo” nella prima traduzione italiana di fine anni '90. Sono certo buoni affari, ma solo perchè si è personalmente interessati; non si tratta di un'oggettiva qualità rivendibile.

lunedì 29 gennaio 2018

"Ipnagogica", di Christian Sartirana: tra weird e horror sonnambulo


In seguito al boom della narrativa horror tra gli anni '70 e '80 e al successivo crash negli anni '90, gli anni '2000 hanno registrato un alternarsi periodico di mode, tutte più o meno intense e tutte più o meno positive nella ripresa e la rielaborazione di tradizionali figure dell'orrore.

“Twilight” ha concesso quella popolarità alla figura del vampiro tale da garantire vendite e spazio anche a libri e film di nicchia, altrimenti impossibili da piazzare sul mercato.
“The Walking Dead” ha garantito quel rilancio dello zombie che a fine anni '90 si riteneva impossibile, mummificato nell'imprevedibile successo della trilogia romeriana a inizio anni '80.
Nonostante i fan dell'horror amino sempre lamentarsi di quanto male vadano le cose, è un buon periodo per l'horror. C'è stata meno di una pausa dagli anni '2000 e siano i non-morti o i dracula dai canini appuntiti, è sempre un periodo rosso. Produzioni alte e basse, erudite e caciarone, saggistica e youtuber... al di fuori dell'Italia l'horror vive felice.
La domanda ovviamente che ci si continua a porre, dal successo della serie della Meyer in poi, è la seguente: cosa succederà “dopo”?
Quale sarà la nuova fissazione – architettata a tavolino o meno – dei mercati librai e delle sale cinematografiche?

venerdì 19 gennaio 2018

Perché leggere fantasy? L'opinione di uno scettico.


Qualche giorno fa da una condivisione sui social di Fra Moretta ho letto una recensione inglese piuttosto aguzza dell'ultima antologia collettiva di George RR Martin, “The Book of Swords”. L'autore criticava come molti dei fantasy attuali siano disinteressati all'azione e preferiscano inserire elementi contemporanei su cui discutere dentro setting fantastici. 
E' una critica che ho preso a cuore, perchè la riconosco come autentica; con gli autori stranieri ormai lo scrittore sembra francamente disinteressato a quanto scrive: non vuole tanto narrare, quanto argomentare. Questo è più che legittimo quando svolto con intelligenza, ma nello spazio della storia breve e dentro una cassa di risonanza che tende ad avvalorare sempre le stesse idee, sfocia rapidamente nello stereotipo.
Come alternativa agli scrittori di punta, il recensore della Castalia House menzionava una serie di autori che nel campo della Sword&Sorcery sembravano promettenti, prima di venire eclissati vent'anni fa dallo juggernaut low fantasy di George RR Martin.
Tra questi, ha catturato la mia attenzione il nome di Richard Scott Bakker, che ho ricordato decenni fa doveva essere tradotto dalla Gargoyle con il primo volume della sua saga, “In principio furono le tenebre”. Sulla pagina wiki era linkato tra le fonti un suo saggio del 2006, “The Skeptical Fantasist: In Defense of an Oxymoron”, sulla rivista “Eliotrope”.

mercoledì 17 gennaio 2018

Il fantasy muto e senza nome di Peter Newman: "The Vagrant"


Un viandante, un neonato e una capra attraversano un mondo post apocalittico infestato dai demoni alla ricerca dell'ultima oasi di salvezza e civiltà: la “Shining City”, nel profondo nord.

Il mondo di Peter Newman è un deprimente pianeta grigio e sterile, formato da nudi ammassi di roccia chiamati “montagne”, distese cenerognole un tempo chiamate “pianure” e giungle urbane di edifici abbandonati un tempo chiamate “città”. Scheletri tecnologici di automobili, ferrovie e strutture di cui da tempo si è smarrita la funzione fanno intuire al lettore una precedente civiltà evoluta e sofisticata, caduta da tempo nel dimenticatoio della storia.
La menzione di un sole spezzato a metà, i nomi e le denominazioni astruse e la geografia fantasy allontanano il pericolo dell'ennesimo post apocalittico ambientato sulla Terra, a favore invece di un fantasy vero e proprio, grimdark all'ennesima potenza.

Le ultime vestigia di civiltà umana in “The Vagrant” risalgono all'impero dei “Seven”: sette divinità simboleggianti l'Ordine contro il Caos, alla guida di una civiltà feudale la cui élite sono i “Seraph Knights”. Un ordine cavalleresco, a metà tra feudatari e paladini, dalle spade magiche (tecnologiche?) che sanno “cantare” come la Durlindana di Orlando. Il cavaliere Seraph è addestrato a intonare la propria anima alla spada, con effetti devastanti sul nemico. Dal romanzo non appare mai completamente chiaro se l'accordo “musicale” tra spada e possessore sia il risultato di un'antica tecnologia o sia un elemento propriamente fantastico. I “Seraph Knights” costituivano la punta di diamante dell'esercito dei Sette, ma nel romanzo sono ormai scomparsi da tempo, tranne che per il “vagabondo”, the vagrant, che continua il suo pellegrinaggio in un mondo devastato.