lunedì 23 ottobre 2017

Il Libro della Polvere: La Belle Sauvage. Philip Pullman alla riscossa


Malcom Poltstead è un ragazzo di undici anni, un garzone presso la locanda “The Trout”, uno snodo carovaniero lungo il Tamigi, nel centro della città di Oxford. I genitori gestiscono la locanda assieme ad Alice, un'altra ragazza a contratto, mentre Malcom serve ai tavoli, pulisce ed esegue piccole commissioni a bordo della sua canoa, la Belle Sauvage
Una delle sue destinazioni preferite è il convento di Godstow, una comunità di vetuste monache fuori dal mondo, che accolgono spesso visitatori itineranti, pellegrini e poveri che richiedono rifugio. Malcom è in contatto con Suor Fenella, un'anziana responsabile della cucina, che gli racconta le ultime novità e gossip relative al Magisterium
Pian piano, Malcom scopre che le suore sono state incaricate di custodire e crescere una neonata, Lyra Belacqua, affidata loro in totale segretezza. 
Con i sentimenti di un figlio unico, Malcom si affeziona rapidamente alla bambina, che giura solennemente di proteggere. 

E' la Lyra protagonista della trilogia “Queste Oscure Materie”: la figlia illegittima di Lord Asriel, il famoso esploratore artico, personaggio dai tratti faustiani e Marisa Coulter, la Nicole Kidman dal scimmiottino d'oro, fanatica agente della Chiesa. 
Il Libro della Polvere, nonostante le affermazioni di Pullman, è pertanto un prequel: si pone prima degli eventi della Bussola d'Oro, descrivendo le azioni e i perigli per affidare Lyra al Jordan College. 
Si tratta di un mondo fisso in un'età edoardiana, caratterizzato da un'Europa di piccole nazioni e piccoli gruppi etnici, dalla tecnologia dieselpunk. Ogni persona ha un daimon: un animale guida, socratico, che personifica la sua anima e la sua tendenza interiore. Quando si è bambini, il daimon può assumere la forma che si desidera e soltanto nell'adolescenza si trasforma nell'animale che il ragazzo è destinato a diventare. E' tipico ad esempio della servitù ossequiosa avere come daimon un fedele cagnolino, mentre Lord Asriel ha un leopardo delle nevi; in tal senso i daimon segnalano anche l'appartenenza a una determinata classe sociale. L'Occidente della trilogia è inoltre fortemente influenzato dalla Chiesa, in particolare il Magisterium, che sovrintende a ogni possibile ricerca scientifica. Si riproduce in quest'ambito uno scontro di vecchia data tra Monarchia e Chiesa, tra Università e Chiesa, tra ingerenze nel potere civile e ingerenze nel potere ecclesiastico. 
E' una Cold War, tanto in The Book of Dust che nel seguito del Golden Compass: un conflitto di spie, di sicari, di scontri notturni.

Un giorno, mentre Malcom è a pesca, vede sulla riva un uomo cercare col suo daimon un oggetto perso nei cespugli: dopo alcuni minuti di ricerca ansiosa e infruttuosa, l'uomo cerca di far finta di nulla e allontanarsi, ma è preso a braccetto da tre agenti del Magisterium in borghese. Alcuni giorni dopo il cadavere dell'uomo è ritrovato affogato in una delle chiuse del fiume, sul collo i segni di uno strangolamento. Vinto dalla curiosità, Malcom si mette a cercare a sua volta, scoprendo nella terra una ghianda artificiale contenente un misterioso messaggio riguardo a una certa “Polvere”. 
Alla locanda, è contattato dall'originaria destinataria del messaggio: una topina di biblioteca che lavora in realtà come spia, la Dott. Ssa Hannah Relf. Una ricercatrice all'università, Relf lavora in realtà sotto copertura, utilizzando l'aletiometro bodleiano di Oxford – un equivalente della Bussola d'Oro della trilogia – per prevenire le azioni del Magisterium. Hannah Relf è infatti un membro dell'agenzia di Oakley Street, che combatte i tentacoli del Magisterium nella forma della CCD, la Corte Concistoriale di Disciplina. I due sistemi di spionaggio stanno combattendo una guerra segreta attorno a Lyra, che la Chiesa sa bene svolgerà un ruolo fondamentale in relazione alla Polvere. Malcom viene reclutato da una riluttante Relf per sorvegliare Lyra e spiare nella Locanda. 
Ma un alluvione epocale sta per sommergere il paese, la CCD stringe sempre più il cappio su Malcom e Relf e la piccola Lyra è più che mai in pericolo...

La trilogia “Queste Oscure Materie”, di Philip Pullman, è un esempio perfetto di una saga fantasy che introduce elementi nuovi nel tessuto stantio e consumato del fantasy tradizionale. 
Professore di Letteratura Inglese ai licei da decenni, avvezzo a gestire la recita teatrale dell'anno e a inventarsi sempre nuove mitologie, Pullman mette a frutto nell'universo di Lyra un'esperienza pluridecennale:  fonti inedite e mai prima d'ora sfruttate, un linguaggio semplice, quasi infantile, che ricorda il migliore Lo Hobbit e una disorientante molteplicità di chiavi di lettura. C'è di che perderci la testa. A fine anni '90 e inizio '2000 Pullman dimostrava alla vasta accozzaglia di scrittori fantatrash come no, non fossero affatto obbligati a copiare e ricopiare i soliti stereotipi, i soliti plagi, i soliti stili. La trilogia “Queste Oscure Materie” esprime con la sua stessa esistenza la possibilità di un fantasy diverso, capace di creare una nuova mitologia da zero con rispetto per l'intelligenza del lettore, che ha infatti prontamente contraccambiato. Si tratta di un universo lontanissimo dalle fan fiction di Tolkien che spacciano dal 1960 come “fantasy”, o dalle bildungsroman semplicistiche di Harry Potter, o dalle stanche riedizioni della già stanca riedizione del vampiro alla Lestat di Anne Rice. All'uscita del primo volume della Bussola d'Oro si aveva la sensazione di approdare in un continente sconosciuto, dalle sue regole peculiari: terra incognita. Hic sunt dracones. 


Agli occhi dell'anglosassone medio – occhi acquosi e non troppo intelligenti – Philip Pullman è un eretico. Il mondo di Lyra Belacqua è un'eresia. Il worldbuilding operato da Pullman nell'universo di Lyra e Malcom lo pone tra gli outsiders del fantasy anglosassone, lo esclude in partenza. Agli occhi nostalgici dell'stablishment britannico, Pullman è uno scomunicato
Come osservava il critico d'arte e di gastronomia Jonathan Meades, specialmente nei documentari “Whose Food?” e “Magnetic North”, gli inglesi sono ossessionati dall'immagine del South
South Europe, innanzitutto; South East, South America. E' possibile definire il “Sud” come una landa immaginaria che si estende dalla Spagna alla Grecia, passando per la Provenza e trovando il suo culmine kitsch nella Toscana e nel Sud Italia. Il South annovera, nella mentalità del turista di Albione, una serie di elementi imprescindibili: una popolazione ferma all'anno mille, tra contadini, pastori e amabili preti che usano i telefoni a gettoni. Cielo azzurro, sole e spiagge dorate. Splendide donne e altrettanto splendidi uomini, entrambi focosi per il carattere passionale del South, specie con la Spagna e l'Italia. Gentili colline con filari di vigneti, negozi di souvenir e una spruzzata di cultura medieval-rinascimentale. Nel South si vive alla giornata, si ama, si mangia e si beve: è una sorta di Joyland, di paradiso terrestre, di luogoesotico” per eccellenza. E' ovviamente un'invenzione di scrittori e artisti inglesi, che lentamente si è cementificata nel pensiero comune. Non esiste, il South. Meades correttamente fa notare come i luoghi del “Sud” siano altrettanto violenti e privi di empatia del gelido “North”: la giovialità, il carattere amabile delle popolazioni del South nasconde una mancanza di contatto, una generale ipocrisia di fondo. Quando gli inglesi non hanno modo di visitare il “South”, ripiegano sull'esotismo a buon mercato dell'India, o della Cina. E' per questo, che in rapporto a larghe percentuali di popolazione proveniente dalla Germania o dall'Est Europa, non troviamo a Londra ristoranti tedeschi, o polacchi, o ucraini, ma piuttosto una quantità strabiliante di ristoranti italiani, indiani e cinesi. In tal senso, il fascino di un locale e di un cibo proveniente dal South batte ogni altra considerazione. 
Il mondo di Philip Pullman, al contrario, è interamente ambientato nel “Magnetic North”. L'aletiometro di Lyra, della Dott.ssa Relf, punta sempre verso il Nord. Quant'è bello il Nord, contrapposto alla violenta decadenza del South! E' una terra altrettanto esotica, altrettanto immaginaria, ma largamente sconosciuta all'italiano/inglese medio. Il documentario Magnetic North in tal senso è una perfetta rivalutazione del patrimonio artistico e architettonico del “North” e nel contempo un'involontaria descrizione del mondo di Lyra Belacqua. La Francia settentrionale, le Fiandre e la Prussia: edifici color mattone, neogotici, che oscillano tra il grottesco più esagerato e l'altrettanto esagerato formalismo senza decorazioni. Caratteri e ideologie senza cedimenti al sentimentale, senza concessioni allo spirituale: dalla mentalità laica e mercantilista olandese al rigore prussiano, passando per il sangue intriso di terra degli stati dell'Est fino alla vetta finale della Norvegia e della Finlandia. Si tratta di luoghi cupi, dove poter riflettere con calma sulla morte, conditi dalle bizzarrie grottesche di Bosh e dai violenti punti esclamativi di una natura mai così sublime. E' bello, il Nord. E' Magnetico. Magnetic North, appunto.
Le coordinate narrative di Pullman sono inestricabilmente legate al “North”. La minaccia dei “Moscoviti”, gli orsi polari, l'importanza delle tecnologie “magiche”, gli scenari di foreste e lande innevate, i poli, Lord Asriel, il ruolo ingente svolto dai gruppi etnici come le streghe o i “gyziani”. Mentre Sapkowski attinge largamente dall'Est Europa, Pullman deriva tanto del suo materiale dall'estremo nord. Certamente non è un caso che la narrazione di Pullman venga accusata di essere cerebrale e meccanica, come gli oggetti magici che descrive; allo stesso modo l'originaria trilogia è un iceberg di chiavi di lettura, che tanto più si scende in profondità, tanto più diventa grande. Tra i tanti, echi del Paradiso Perduto di John Milton, delle pitture e dei poemi di William Blake, del periodo “illuminista” di Nietzsche (Umano, troppo umano). 

Il ruolo di antagonista svolto dalla Chiesa e dal Magisterium nelle opere di Pullman non è una semplice trasposizione della Chiesa medievale, o meglio come nella maggior parte dei fantasy, di una Chiesa in realtà controriformistica, seicentesca. Il Magisterium di Pullman è un'istituzione squisitamente vittoriana, che si avvale degli strumenti e dei luoghi caratteristici dei romanzi di Dickens: sanatori, ospedali di pubblica carità, orfanotrofi, missioni, università e scuole, luoghi di ingerenza tra potere civile ed ecclesiastico. Sarebbe un errore sottovalutare l'afflato religioso, specialmente protestante, negli anni centrali della Regina Vittoria: accanto al mercante e al militare, che sia in Africa, in Cina o in India, c'è sempre la “M”, del missionario, caratterizzato dal latrato del protestante o dell'anglicano, o dell'evangelico, più che dalle sofisticatezze dei gesuiti. La genialità di Pullman sta nel recuperare quest'elemento religioso taciuto nelle rievocazioni ottocentesche: il revival protestante in America e il filone gotico in architettura e narrativa, tra il 1850 e il 1870. La scuola come luogo di “scontro” tra Magisterium e Governo ritorna nel Libro della Polvere; chiaramente Pullman, provenendo dal “North”, non accetta compromessi: è intransigente, quasi puritano, uno scontro testa a testa, con l'irruenza di uno Hume della Ricerca sull'Intelletto Umano. 

Jonathan Meades approva questo messaggio.
Il Libro della Polvere: La Belle Sauvage è il primo di due romanzi che dovrebbero precedere e accompagnare la storia di Lyra. Pullman non apprezza la definizione di prequel, ma in questo primo caso si adatta bene: seguiamo le disavventure di una Lyra ancora neonata mentre Malcom e la Relf tentanto di nasconderla agli agenti del CCD. Non si può definire il romanzo come un cash-in, un tentativo di Pullman di capitalizzare sul successo dell'originaria trilogia. Si tratta di una storia con una sua dignità, dove lo stile di scrittura è su livelli medio-alti e lo svolgimento narrativo completo e auto concludente. E' necessario tuttavia conoscere alcuni retroscena dell'originaria trilogia per meglio comprendere alcuni “agganci” e alcune invenzioni di Pullman. Questo non è un romanzo scritto “tanto per”: siamo su più di 400 solide pagine, con un'evoluzione nel personaggio protagonista, Malcom e una storia bene strutturata. 
Quando un autore acquisisce, come nel caso di Martin o della Rowling, un'immensa popolarità, è facile che i lavori successivi siano opere spurie, volumetti di curiosità e novelle scritte per far cassa sull'onda del successo. Si ripubblicano i lavori precedenti (Martin), si stampano opere teatrali (Rowling), si pubblicano novelle e saggi di poche pagine in formato elettronico (King). Al contrario, Il Libro della Polvere è inquadrabile dentro un progetto con un suo senso e una sua dignità, a lungo meditato da Pullman. Sarà necessario considerare il primo libro e il seguito come un tutt'uno, per poter dare un giudizio definitivo. 

Il romanzo si apre con una descrizione reminescente di tante aperture dei classici: a volo d'uccello, si sorvola l'Inghilterra fino a inquadrare Oxford, il Tamigi, The Trout, triangolando la visione fino a Malcom. I primi capitoli purtroppo sono ammorbati da un'eccessiva influenza dalla letteratura dell'infanzia, dalla descrizione repentina di Malcom, “di indole curiosa e gentile, corporatura robusta e chioma fulva”, alle digressioni nella voce del narratore, che ogni tanto s'intromette a sottolineare quel particolare o ad anticipare un colpo di scena. Succede di tanto in tanto, in media una o due volte ogni capitolo. 
La prima metà del romanzo è un'inedita mescolanza di genere spionistico e di genere fantasy. Le disavventure di Malcom s'intrecciano ai conflitti tra Oakley Street e la CCD: i discorsi del bambino con la madre o con Suor Fenella sono accompagnati da scontri sanguinosi, da doppiogiochismi, da torture e scontri. Introdotti i personaggi, Pullman lascia cuocere a fuoco lento la trama: le prime duecento, trecento pagine sono estremamente lente. C'è un certo gusto, una certa ricercatezza nella descrizione del cibo e delle azioni quotidiane, che vengono ripetute più e più volte, quasi a sottolineare la “quotidianità” della vita di Malcom. 
A partire dalla seconda parte, l'evento “apocalittico”, ovvero una gigantesca alluvione, sommerge e distrugge il complicato equilibrio di vita familiare e di complotti descritto in precedenza: a bordo della canoa, ultimo rifugio-casa-legame famigliare, Malcom è strappato dai parenti e costretto suo malgrado a un'impresa eroica, affiancato in questo dalla coetanea Alice. Gli elementi fantasy, quasi completamente assenti nella prima parte, compaiono poco a poco, fino a culminare nelle ultime cinquanta pagine in un clima quasi sognante, totalmente surreale. 
C'è qualcosa dell'hobbit, nel compiacimento con cui Pullman descrive la vita di Malcom. E' un ragazzo estremamente attivo, che scuoia, spenna, cuce, lava, rammenda, dipinge, affetta, spella, cucina e serve ai tavoli. Le descrizioni dei pasti e dell'ora del tè con la signorina Relf sono particolarmente appetitose. Accanto a quest'elemento “casereccio” compare l'usuale predilezione di Pullman per gli ambienti scolastici: l'archivio, la biblioteca bodleiana e i membri della Oakley Street, per lo più professori, scienziati e ricercatori. Si tratta di membri del ceto intellettuale, che agli occhi di Pullman svolgono un ruolo eroico di bastione all'ingerenza del Magisterium. In quest'ambito Malcom, pur essendo il figlio di un locandiere, sa leggere e si fa prestare dalla Relf volumi scientifici: idealmente svolge un ruolo di “tramite” tra gli elementi positivi delle due rispettive classi. Quest'enfasi a tratti stucchevole sulla vita di ogni giorno serve a far risaltare con toni crudi e sanguigni le occasionali scene di azione e di violenza: Pullman utilizza i daimon per aumentare l'orrore di alcuni passaggi, di alcune scene, non esita a sottoporre il giovane Malcom a supplizi piuttosto ardui, dagli scontri fisici ai dilemmi morali. La CCD introduce nella scuola di Malcom la “Lega di Sant'Alessandro”, un'associazione della gioventù che ricompensa i suoi membri che denunciano i genitori e professori sospettati di “ateismo”. Un'efficace trasposizione dai regimi totalitari e dalle correlate teologie del secolo scorso. Dalla prospettiva di un bambino che si approssima all'adolescenza quale Malcom, il tradimento di un compagno di scuola fa più male che un pestaggio o una fuga in canoa. La CCD è una gestapo che tortura i membri di Oakley Street, che intimidisce i cittadini, che gioca “sporco”. Si tratta di un nemico meschino, che si fa odiare volentieri dal lettore. 

Un corretto bilanciamento dell'elemento “quotidiano” della vita di ogni giorno e degli elementi “violenti” e fantasy legati all'ambientazione avrebbe garantito un capolavoro. Spiace tuttavia di constatare come Pullman in questo fallisca: la prima parte sopravanza la seconda, la sommerge con dettagli insignificanti. C'è semplicemente “troppo” della vita di Malcom e “troppo poco” della storia principale di Lyra e Lord Asriel. Malcom non è uno stupido, ma non è nemmeno un protagonista brillante: s'interessa della sua canoa e sa come trattare gli ubriachi per il lavoro nella locanda. Non ha altri tratti peculiari, è un ragazzo generico che attraversa il “percorso dell'eroe”. 
Ci sono semplicemente troppe descrizioni della locanda, troppe descrizioni di Suor Fenella che ordina a Malcom di affettare quello, di cucinare quell'altro. Pullman vorrebbe riprodurre l'apparente calma di un romanzo di spionaggio, dove sotto il ghiaccio della normalità di ogni giorno, si agitano le onde di una guerra sotterranea. Ma troppo spazio viene dato agli elementi quotidiani, genericamente propri di una slice of life: non ci interessa sapere cosa mangia Malcom a cena, o a pranzo, o a colazione. Il mio consiglio è di sforzarsi di superare la prima parte, specialmente con  riferimento ai primi capitoli; dopo le prime cento pagine, lo svolgimento della trama accelera. Al contrario, le vicende delle ultime trenta pagine, che avrebbero dovuto costituire il fulcro del romanzo, sono compresse in accenni e sbrigativi paragrafi: la bussola narrativa di Pullman è leggermente fuori asse. Detto ciò, senza quest'elemento “quotidiano”, l'azione sarebbe risultata meno incisiva e meno orrorifica, diminuendo l'immedesimazione del lettore coi sentimenti del giovane Malcom. 


Lo stile di scrittura di Pullman è semplice, diretto, nella tradizione dei classici. 
Le descrizioni degli oggetti sono puntuali e accurate. Si legga ad esempio la descrizione della ghianda artificiale: 

A prima vista era una ghianda, ma stranamente pesante, e quando la guardò meglio vide che era ricavata da un pezzo di legno di grana fine. Anzi, da due pezzi: uno per la cupola, la cui superficie, leggermente tinta di verde, era intagliata così da riprodurre esattamente le squame ruvide e sovrapposte di una ghianda vera, e uno per la noce, che era lustra e cerosa e di un perfetto marrone chiaro. Era bellissima, e Asta aveva ragione: doveva averla persa l'uomo. 

Oppure dell'aletiometro di Oxford: 

Era un apparecchio a forma d'orologio, d'oro lucente e sormontato da un quadrante di cristallo. Da principio Coram ne apprezzò solo la sua incantevole complessità, finché il professore cominciò a enumerarne le caratteristiche. «Sul bordo del quadrante – vede? – abbiamo trentasei figure, tutte dipinte sull'avorio con un'unica setola. E intorno, all'esterno, tre rotelline a centoventi gradi una dall'altra, simili alle corone con cui si caricano gli orologi. Ecco cosa succede quando ne giro una».Coram si avvicinò ancora di più e anche il suo daimon gli scese dalle ginocchia e si piazzò sul bracciolo per guardare. Mentre il professore girava la rotellina, una sottile lancetta nera, simile a quella dei minuti, si staccò dall'intricato sfondo e avanzò ticchettando per il quadrante. Quando giunse in corrispondenza di una piccola immagine del sole, il professore si fermò. 

La seconda parte, dall'avventura nell'alluvione in poi, è scritta con competenza. Senza eccessi, precisa e oggettiva: la voce del narratore tira i remi in barca, completa la fusione con il Malcom protagonista. Gli inconvenienti di una neonata si palesano nell'attenzione materna di Pullman ai più minuti dettagli: accendere il fuoco, scaldare il latte, cambiare il pannolino, ecc ecc. 
Ancora una volta, è una questione di saper bilanciare gli elementi a disposizione. Pullman dedica una spropositata attenzione alla prima parte, che andava invece conclusa in poche pagine, mentre comprime la seconda, dove invece si concentra il “fantasy” vero e proprio. 
L'unica grave pecca dello stile, accanto alle intromissioni del narratore e a (rare) divagazioni, è l'uso delle parentesi, a partire dalla prima pagina: “C'era una terrazza sul fiume dove i pavoni (uno di nome Norman, e l'altro Barry) tampinavano gli avventori...”
Pullman, a nessuno interessa sapere i nomi dei “pavoni”. A nessuno interessa del “pavone Barry”. A nessuno interessa del “pavone Norman”. In effetti, a nessuno interessa dei pavoni in generale!
Smettila di pavoneggiarti cercando d'infilare dettagli superflui, come il “rabarbaro con la crema pasticcera” o la quantità di fette di roast beef servite a cena dalla madre, “Gli uomini ci davano dentro con il roast beef (la madre di Malcom aveva servito a ciascuno una fetta in più)”. E' importante confermare la solidità del worldbuilding, ma com'on, quanto è troppo, è troppo. 

In conclusione, Il Libro della Polvere – La Belle Sauvage, è un buon romanzo per gli appassionati della saga, un prequel tutt'altro che superfluo, che ha l'unica pecca nel prendersi il proprio tempo. Adatto a lettori senza troppa fretta, d'accompagnare a una tazza di tè prima di andare a dormire. 

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