lunedì 29 maggio 2017

Ritorno a Red Hook: La Ballata di Black Tom, di Victor LaValle


Charles Thomas Tester è uno squattrinato abitante di Harlem, il cui padre ex muratore passa il suo tempo a casa, il corpo distrutto dopo decenni di lavoro, mentre il figlio si arrangia con lavoretti più o meno loschi, nascosti dalla sagoma malandata di una vecchia chitarra

Tester si guadagna infatti da vivere con speciali commissioni nel campo dell'occulto, procurando e vendendo libri e oggettistica legati a pratiche settarie; per la sua ultima commissione in un ricco quartiere bianco, Tester strappa l'ultima pagina del grimorio che andava trafugando nel corpo della chitarra. E' una pagina del Nuovo Alfabeto, parole di potere con cui manipolare la realtà. 

Sulla via del ritorno per casa, il giovane afroamericano incontra un ossuto aristocratico di nome Robert Suydam: l'uomo gli domanda di getto se vorrebbe suonare a casa sua, in occasione di una speciale festa tra amici. Ha infatti intravisto, nelle scordate note di “Tommy”, un'affinità per la magia, il marchio dei prescelti. Per il giovane nero si tratta di un'offerta bizzarra, sospetta, ma sapendo che è difficile comprendere le imperscrutabili ragioni dei vecchi bianchi immediatamente accetta. 
Uno sgradevole incontro con due poliziotti, che subito “sequestrano” l'anticipo della paga di Robert Suydam, lo avverte che si sta cacciando dentro un bel guaio: un ispettore di origini irlandesi, un gigante gentile dal nome di Malone, gli raccomanda che Suydam è una persona sospetta, pedinato da tempo. Ma per un povero del ghetto, i soldi sono soldi e un'offerta come quella di Suydam non si può rifiutare...

Prima di scrivere del seguente romanzo breve, mi prendo una pausa di riflessione per meravigliarmi di quale incredibile fortuna mi sia successa: mai, mai avrei pensato di leggere l'opera di Victor LaValle in una traduzione italiana. Certo, aveva creato un certo rumore sulla scena americana, raccogliendo elogi e premi, ma rimanendo pur sempre all'interno di una nicchia, quale la narrativa di genere, all'interno di un'altra nicchia sparuta in Italia, l'horror, all'interno di un'altra nicchia ancora, l'horror lovecraftiano. E' dunque un piccolo miracolo che ci sia giunta, sia lode a Cthulhu. 

Come avrete già indovinato dai nomi della sinossi, La Ballata di Black Tom si propone come una rilettura del sanguigno racconto di H.P. L'Orrore a Red Hook. Recentemente avevamo avuto già una precedente rielaborazione nel medium del fumetto “Providence”, di Alan Moore. 

Nel caso di Victor LaValle, parlare di riscrittura mi sembra eccessivo: nei suoi connotati fondamentali, la Ballata resta aderente al racconto originale, ma ponendo enfasi su diverse scene e diversi personaggi. L'opera si concentra sul prima e il dopo delle vicende narrate da Lovecraft, alternando scene che nell'originale erano presenti nell'incipit traslandole alla fine e modificando radicalmente i protagonisti: una prima metà della novella (siamo attorno alle 92 pagine) presenta il personaggio inedito di Charles Thomas Tester, un uomo portato per l'occulto ingannato da Suydam; la seconda parte passa alla prospettiva di Malone, poliziotto ambiguo perchè in bilico tra il suo dovere di uomo della legge (dei più forti) e sincero simpatizzante delle diverse etnie del quartiere di Red Hook, dagli italiani, ai siriani, agli spagnoli, ai cinesi, ai malesi ecc ecc 

Malone è riuscito ad accattivarsi le simpatie di questi abitanti chiudendo un occhio su alcune sviste e alcune infrazioni di poco conto, se non per il buon costume, conquistandosi così il privilegio di potersi muovere a suo agio nel quartiere, indagando i crimini più gravi. 
L'anima di Malone è bene simboleggiata dai due oggetti che tiene in tasca: un libretto dove annota indizi e curiosità antropologico-magiche (come Tommy, è un dilettante dell'occulto) e nell'altra una rivoltella carica quando la situazione precipita oltre ogni ragionevole compromesso. La seconda metà del romanzo può venir letta come un alternasi di queste due visioni: la comprensione borderline con il tradimento della legge e la pistola come cieco ricorso alla forza
Un giorno, all'improvviso, il quartiere si spopola, le porte si chiudono al passaggio di Malone, i baristi si cuciono le labbra: Malone sembra essere ridiventato uno straniero, un intruso. Sembra infatti che Suydam si sia trasferito nel quartiere e con lui, un suo nuovo “vice”: Black Tom dalla chitarra insanguinata, un pauroso individuo che a Malone ricorda stranamente il giovane Thomas Tester... 

Thomas Tester, che passa dall'essere “Tommy” a diventare “Black Tom”, è un protagonista convincente, delineato con cura. LaValle descrive con efficacia il passaggio di confine dai diversi quartieri, dalla cara Harlem, “come essere una singola goccia di sangue dentro un enorme corpo che si stava svegliando”, ai quartieri borghesi, dove il bianco dei palazzi nasconde la sozzura morale dei suoi abitanti, “come un tumore sulla casa dei morti”, a Red Hook, confuso agglomerato di immigrati dalle “superstizioni e le loro oscure fedi (…) che la guida di una mente superiore poteva trasformare nell'oro puro di una saggezza cosmogonica”. 

LaValle mescola la ricostruzione storica con gli eventi fittizi, senza fornire quell'impressione sgradevolissima di un saggio storico (o peggio, morale!) mascherato da romanzo. Innegabile la documentazione, ma altrettanto innegabile il calore dell'ambiente e dei personaggi: il periodo trapela dalle azioni e dai dialoghi dei personaggi, non dagli infodump



Thomas Tester, ad esempio, ha due incontri assai sgradevoli con una coppia di poliziotti: Howard e Malone. Howard è il classico poliziotto razzista e violento, un cane da guardia dei ceti benestanti alimentato con quella miscela letale di eugenetica e positivismo tipico delle riviste “scientifiche” di quegli anni. 
Così descrive Harlem, dopo aver ammazzato a sangue freddo un suo abitante, con la flebile scusa di una legittima difesa: 

“Dimmi che mio padre è morto e ti mollo un pugno” disse il signor Howard. “Ma questa gente non ha affatto gli stessi legami tra di loro come noi. E' stato scientificamente provato. Sono come le formiche o le api.” Il signor Howard agitava una mano in direzione dell'edificio dietro di loro. “Ecco perchè possono vivere in questo modo.”

La completa estraneità di classe e di pensiero compare persino quando i due interlocutori risultano d'accordo l'uno con l'altro: un personaggio simpatetico con le cause dei più poveri, come Suydam, non sembra comunque capirli, come d'altronde “Tommy” non si interroga sulle richieste misteriose di Suydam, sapendo infatti come “la realtà di un uomo ricco è sempre rimodellata a proprio piacimento”. 

E' sempre interessante come la prospettiva di un lettore differisca dalla prospettiva dell'autore: per me, infatti, Malone è un buon poliziotto, che cerca di fare del suo meglio dentro un ambiente urbano (New York) ostile, un ambiente sociale (Harlem, Red Hook, i quartieri “bene”) ostile e un ambiente di lavoro ostile e sopratutto stupido, ottuso (la polizia anni '30, corrottissima). 
Malone comprende le ragioni di Tom, è imbarazzato dal contegno del compagno, sa come chiedere e indagare senza accontentarsi della soluzione più semplice. E' anche un sognatore, un esteta nel senso degli anni '30, un bell'uomo ecc ecc 
Per LaValle, invece, Malone è e rimarrà sempre un poliziotto: pur disapprovando in silenzio il comportamento dei colleghi, così facendo lo avvalora. Un razzista passivo, perché non muove mai un dito per prendere le difese dei suoi accusati, o per contraddire le parole o le azioni degli altri poliziotti. Il suo interesse, di carattere antropologico, non elimina la sunnominata distanza dagli abitanti del ghetto. E' uno dei temi ricorrenti nelle interviste di LaValle, l'idea che il razzismo non debba per forza tradursi nel rozzo redneck con il cappuccio del Ku Klux Klan. Non sono d'accordo con l'autore che Malone sia un “passive racist”, ma questa è la sua opinione e ehi! E' lui l'autore. 

L'aspetto “weird” della storia si mescola con l'ambientazione anni '30 in maniera naturale, senza forzature. Aver dato a Tommy un'identità ambigua, tra l'imbroglione e lo studente di arti occulte, la casa stessa di Suydam e la sua biblioteca, il grimorio/libretto di Malone: sono tanti piccoli elementi che delineano un mondo segreto, nascosto agli occhi del mondo normale perfettamente incastonato nell'America degli anni '30, tanto più invisibile, perché davanti a tutti, in bella mostra. 

Tuttavia, l'elemento “weird”, senza commettere peccato di spoiler, non diventa mai orrore: non impressiona mai il lettore. Lo si potrebbe definire interessante, affascinante, inquietante; tuttavia non scuote mai, non fa paura, ne in effetti intacca la corazza di presunzione del lettore. 
Victor LaValle cerca di rendere il soprannaturale con occhio da esteta, confezionando immagini certo interessanti, ma che mancano della tessitura lessicale e “parolaia” di Lovecraft. 

Il racconto originale di Red Hook aveva interi passaggi che sembravano accorpare in poche righe quante più parole possibili, trasmettendo sensazioni “forti”, a patto di avere un vocabolario sufficientemente elaborato per comprenderle. Particolarmente verso la fine, la lettura trasmetteva un senso di sporcizia misto a eleganza sintattica raro a leggersi: il sublime di H.P. tendeva sia in alto che in basso, ma la presa “viscerale” sul lettore era innegabile. 

Victor elimina qualsiasi riferimento allo sporco, al sudiciume, al sangue, all'orrore. Harlem, dalla prospettiva di Tom, è un luogo certo povero, ma accogliente, pieno di buona gente pronti ad aiutarsi l'un l'altro. Compare quel senso di comunità che Lovecraft ignorava, dalla sua prospettiva “esterna”. 
Le scene sovrannaturali, tranne che nel finale sanguinoso, non sono così diverse dalle scene “normali”: i personaggi le accolgono come strane, come bizzarre. La discesa nella follia, il terrore  dei comprimari, la comparsa del proto-Cthulhu sembrano mancare di quella forza immaginativa, di quel cazzotto visivo-verbale che possedeva Lovecraft. 
Questo assolutamente non vuole significare che il “weird” della storia sia superfluo, o peggio mal scritto: semplicemente non è un weird horror, perché non spaventerebbe nessuno, se non chi Lovecraft non l'abbia mai letto. 
La Ballata di Black Tom è una splendida novella, ma non è horror, è weird, o se preferite un prosaico urban fantasy. Sembra mancare totalmente quel senso di revulsione, di sozzura del racconto originale. Certamente Victor LaValle, anche per le sue stesse origini, non poteva recuperare la xenofobia, per altro infondata, dell'opera originale! Però, in quest'operazione, qualcosa si perde, dallo spavento si passa alla fascinazione. Non è un passaggio per forza negativo; si tratta di diversi sentimenti per diversi gusti. 


Ritaglio dal fumetto Nyarlathotep, di Julien Noirel e Rotomago (edizioni Npe)
Cercherò di fare un esempio per meglio esplicitare il mio paragone. 
Un mese fa, facevo avanti e indietro tra Trieste e Udine, per un corso universitario, via treno. 
Il sottopassaggio a Udine, che dalla fermata del treno permette di arrivare all'altro lato della strada, è un posto alquanto schifoso. Quando piove, la pavimentazione si incurva e all'intersezione tra muro e floor si allargano gigantesche macchie melmose. Verso la fine del sottopassaggio, il rivestimento dei mattoni appare sbrecciato, malmesso, crepato, costellato di graffiti osceni, dai cazzi (amari) agli oscuri richiami tribali. In quei dieci metri dove le luci si sono spente e il sottopassaggio è al buio, il fetore diventa insopportabile. Salendo le scalette, uno breve spiazzo prima di salire in strada mostra una serie di bacheche vuote, ammuffite, con prezzi in lire. Il cartello arrugginito di uno sexy shop chiuso dagli anni '80 ti ghigna in faccia, mentre calpesti una desolazione di mozziconi, canne, sigarette, preservativi usati ecc ecc 
Qualche anno fa si levavano dagli angoli più bui del sottopassaggio i lamenti di alcune figure infagottate, poi i poveretti sono stati trasferiti altrove, spero a luoghi migliori, anche se ne dubito. 
Al momento ci vanno gruppuscoli meticci, studentelli e qualche adulto, a fumarsi le canne. 
Qualche settimana fa ristrutturavano i muri con uno strato di pittura bianca, ma le infiltrazioni l'hanno prontamente trasformata in un mattatoio, con le croste che colano e i mattoni rossi che brillano come gengive infiammate. Provavo sempre un leggero timore quando ci dovevo passare e, proprio per questo, mi sono auto-imposto di passarci sempre, per punirmi della mia codardia. 
Un luogo insomma sgradevole, nel suo piccolo. 

L'opera originale di Lovecraft, Orrore a Red Hook, mi trasmetteva sensazioni molto simili. C'era un senso di lordume, di profondo schifo che pervadeva il racconto, mentre Lovecraft descriveva le scoperte di Malone, la sua discesa nell'abisso, il suo contatto con riti innominabili. L'aspetto sovrannaturale era intimamente connesso con la repulsione di Lovecraft per Brooklyn

Con l'archeologia industriale mi trovo spesso a che fare con luoghi abbandonati, lo stesso Porto Vecchio di Trieste rimane abbandonato, nonostante i tentativi di abbellire un cadavere; simpatizzo pertanto con la revulsione di Lovecraft, senza negarne la xenofobia. Con Victor LaValle invece non si orienta mai la telecamera verso i rifiuti, verso lo sporco, assente è quel misto di attrazione/repulsione, ingrediente indispensabile dentro questo tipo di narrativa. 
Ammetto poi, a livello personale, un certo fastidio. Harlem, Brooklyn... non dubito che fossero abitati da persone squisite, di grandi speranze, ma il livello di vita era effettivamente basso, come gli standard dell'igiene, la povertà, la criminalità, i linciaggi, la guerra tra diverse bande e diverse etnie. Siamo nello stesso periodo in cui Lovecraft fu derubato di quel poco che aveva proprio in un monolocale a Red Hook! Sarebbe naif negarne i traffici umani e le continue violenze. 
Se il ritratto di Lovecraft peccava dunque per eccesso, LaValle pecca per difetto. 
Semplicemente io per forza sono portato a svelare lo sporco, la faccia orrenda di un ritratto ideale e quello che fa LaValle è proprio un ritratto ideale del ghetto, spiace ammetterlo, ma è così. 


Copertina "pulp" di Providence (2): Red Hook
Lo stile di scrittura di LaValle resta sempre lindo e pulito, con la giusta parola al giusto posto. 
La prospettiva, salda sul punto di vista del protagonista, o Thomas, o Malone, si abbandona di tanto in tanto a narrazioni biografiche, o a digressioni che hanno il suono del narratore omnisciente. Anche il narratore interno, tuttavia, è sempre filtrato dal punto di vista di un abitante di New York. L'incipit stesso ne è un ottimo esempio. 

LaValle sfrutta una scrittura semplice, ma elaborata, con i suoi (occasionali) apici di lirismo: le descrizioni sono sempre leggere, esatte e puntuali, come dal seguente passaggio: 

Il Victoria Society consisteva di tre stanze dimesse al secondo piano di un palazzo. Era un club sociale caraibico. Giù in strada Tommy e Otis erano nella Harlem nera, ma entrando nel Victoria Society facevano il loro ingresso nelle Indie Occidentali britanniche. Le bandiere di tutte le nazioni caraibiche erano attaccate alle pareti di un lungo corridoio. Una ben più grande Union Jack era appesa giù in fondo.

Allo stesso modo soddisfacente la descrizione di Suydam, senza alcun eccesso: 

Alla fine alzò lo sguardo e trovò il vecchio col viso arrossato e un largo sorriso. L'uomo era tondo e basso, e i suoi capelli si gonfiavano selvaggi come il morbido e bianco pappo di un dente di leone. La sua barba montava, ispida e grigia. Non aveva l'aspetto di un uomo benestante, ma proprio chi era messo bene poteva permettersi un tale travestimento. Dovevi essere ricco per rischiare di sembrare squattrinato. Le scarpe, poi, corroboravano la ricchezza dell'uomo. E il suo bastone, con il pomo dalla forma di una testa d'animale, faceva saltare agli occhi quel che sembrava oro puro. “Mi chiamo Robert Suydam” disse l'uomo. 

Verso i vent'anni, LaValle si considerava un autore di Letteratura, aveva abbandonato l'horror della gioventù: la prosa forbita è continuamente in equilibrio tra l'interesse della storia e l'interesse nei passaggi, nei psicologismi, nei bozzetti urbani. Il rifiuto di sporcarsi le mani come fanno certi autori horror è un pregio della novella, saldamente assisa nella tradizione del Quiet Horror. La principale differenza da autori come Ligotti è la totale assenza di arcaismi e una certa fragilità stilistica, che non poggia su nessuna fondamenta come possano essere catene di aggettivi, lunghe descrizioni, monologhi di dialogo. E' tutto spezzettato, ricollegato con la pazienza di un autore certosino. 
A volte ho trovato questo continuo volersi tenere indietro, questo continuo trattenere e limare la parola piuttosto frustrante, perchè non c'è un singolo passaggio dove l'autore si lasci andare incendiando la tastiera. Rispetto a macellai della parola come Laymon siamo qui su tutt'altro livello, sarebbe come comparare Michael Bay e Orson Welles. 

Egualmente raffinata, infine, la rete di citazioni a Red Hook, una ragnatela di incroci e riferimenti piuttosto sofisticata, a malapena scalfita dalle sole tre note a piè di pagina. 
E come non concludere questa recensione con la strizzata d'occhio di LaValle a Lovecraft stesso?

Un uomo originario del Rhode Island, ma che ora viveva a Brooklyn con la moglie si rivelò così insistente che un paio di agenti vennero mandati a casa dell'uomo per comunicargli senza mezzi termini che non era il benvenuto a New York. Forse la sua indole era più adatta a Providence. L'uomo lasciò la città subito dopo e non vi fece più ritorno. 

Fonti: 

I grew up on Lovecraft, reading him long before I had any real critical faculties, and as a result I came to love him long before I understood what was repellent about him. In this way, he’s a lot like a family member. I can’t be the only person in the world who loves a family member but also understands that he or she believes in—and gives voice to—a hell of a lot of ugly personal and political opinions. And yet, you don’t—or I don’t—stop loving that person. How could I? He or she says terrible things about some group of people (“Left handed people can’t be trusted!”) and also helps me learn how to ride a bike. What do I do with such a person? It’s going to be a complicated kind of love that results.
That’s really what lay behind the writing of The Ballad of Black Tom. As an adult, I realize the point isn’t to separate Lovecraft’s writing from his prejudices, because his work is infused with, and informed by, those exact prejudices. In fact, his work wouldn’t be as interesting if he wasn’t such a profoundly prejudiced person. One of things he did incredibly well was to tap into a specific kind of fear—white, male, intellectual, upper class (if not wealthy any longer)—and turn that into a dreamy phantasmagoria that generations of readers and writers would eventually have to wander through. I like wrestling with that kind of thing rather than ignoring it.

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