lunedì 27 ottobre 2014

La colazione che vorrei


Chi studia storia verrà, prima o poi, inevitabilmente accusato di nostalgia reazionaria.
E' inutile che proviate ad argomentare l'oggetto della discussione, a difenderlo o spiegare con tanto di statistiche e citazioni alla mano: per l'interlocutore a-storico l'idea che un'epoca a lui precedente sia stata positiva è inconcepibile. Il progresso deve andare avanti. Il 2014 dev'essere migliore del 2013, che a sua volta deve per forza risultare migliore del 2001. Importa sinceramente poco che oggettivamente non sia così. Che per raffinatezza culturale e intelligenza la Belle Epoqué superasse abbondantemente gli anni novanta del novecento, che per speranze e coerenza l'ottocento fosse tutto sommato decisamente migliore.

Ma vedete, il punto non è questo. Raramente uno storico abbraccia acriticamente la sua epoca preferita. Altrimenti sarebbe solo un passatista con la testa nelle nuvole di un passato idealizzato.
Io non credo che l'epoca vittoriana, che si consideri il suo inizio, gli anni cinquanta/sessata o il rigurgito imperialista dal 1890 in poi, sia un modello ideale. Semplicemente trovo che certi aspetti, certe fasce della sua società contengano elementi d'indubbio fascino e validità. Sarei tuttavia un idiota se propagandassi il ritorno all'età del vapore, dello sfruttamento industriale e del colonialismo. Allo stesso modo nessun medievalista vuole sinceramente ritornare a essere un servo della gleba in un'europa dall'età media sui trent'anni scarsi. Semplicemente, trova che vi siano elementi degni di attenzione e perché no? Valori da rivalutare.

Odio con particolare accanimento la vasta schiera di professori, pubblicisti e studenti che usano la storia come grimaldello per sostenere tesi apertamente violente e/o razziste, per propagandare in un modo o nell'altro l'oppressione di un individuo o di una classe su un altro. Tuttavia, è possibile avere a cuore un periodo storico e trovarvi elementi degni di attenzione.



venerdì 24 ottobre 2014

Hatred è un gioco neonazista?



Parli del diavolo. Qualche giorno fa mi lamentavo in chat con un amico sulla superficialità di certi newser e certo giornalismo d'accatto praticato in quei siti di notizie generali che una volta avremmo sprezzantemente definito “rotocalchi”. Siano le ultime curiosità su quella data attrice, notizie di sbarchi d'immigrati o ultime grida nel campo della moda, l'informazione del giorno è puntualmente inattendibile, fraudolenta e miserabilmente povera.
Posso in effetti comprendere come lavorare nelle vesti di newser deve far parecchio schifo e sono il primo ad ammettere che il disprezzo che la blogosfera nutre per il giornalismo ufficiale è motivato dalla semplice invidia. Non siamo riusciti a pubblicare sul giornale, allora, per vendetta, parliamone male. Verissimo.
Nel campo dei videogiochi tuttavia, basterebbe davvero poco per migliorare la situazione. 
Citare la fonte inglese, il sito da cui si sono attinte le informazioni, sarebbe già un buon passo in avanti. Non limitarsi a tradurre le suddette notizie, ma incorporarle in un articolo coerente, darvi un proprio punto di vista personale e citare quante più fonti diverse sarebbe un graditissimo cambiamento. Un giornalista da rotocalco, almeno nella mia discutibilissima opinione, non dovrebbe limitarsi a un'unica fonte, ma citarne diverse ed esporre quanti più punti di vista possibili.

Prendiamo Hatred.
I siti di videogiochi l'hanno presentato come un gioco controverso, dove nei panni di uno psicopatico imperversi in una cittadina. Lo scopo è unico e semplice: uccidere quanti più civili possibili. Dopo queste notizie il newser ha puntualmente allegato il trailer e, obbediente soldatino, concluso la notizia. Seguono i diversi commenti, ovviamente entusiasti dell'ennesimo simulatore di macello globale. Un timido commentatore azzarda l'idea che tutta quella violenza sia eccessiva, viene puntualmente zittito dal coro di pecore belanti...


Io ho giocato a Postal a nove anni ma non sono mica diventato un killer!!!1








Scuotendo la testa, passiamo a leggere la notizia sui siti internazionali. 
Il livello di approfondimento, forse per effetto delle paghe più alte (chi sono io per negarlo?) è mostruosamente, immensamente maggiore. Il sito Polygon, dopo la presentazione del trailer, analizza le notizie finora disponibili traendone un verdetto decisamente negativo. Il livello di violenza in Hatred è infantile, affidandosi a un effetto shock anni novanta ormai sorpassato. Fattore decisamente più inquietante, il gioco non si limita a promuovere il genocidio di massa, ma celebra allegramente la tortura e la sofferenza: il protagonista non si limita all'uccisione indiscriminata, ma mira a infliggere quanto più dolore possibile. Il motivo? L'odio. Lui odia l'umanità – senza una reale ragione, l'odia e basta – e di conseguenza tutti devono morire. Molto perverso, molto sadico, molto infantile. 
L'odio verso tutto e tutti è una fase tipica dell'adolescenza depressa, caratteristica di perdenti e frustrati. Il mondo mi odia, io odio lui. Possiamo dunque vedere il trailer com'è davvero: un videogioco che vorrebbe essere traumatizzante, ma che sortisce l'effetto contrario. Sorvolando sulla pancia e i capelloni unti del protagonista, fanno molto meno ridere le continue torture ai diversi civili. Anche a voler creare un gioco sulla falsariga di Postal, era davvero necessario mostrare il protagonista che ficca una pistola in bocca a una donna inerme e preme il grilletto?


lunedì 20 ottobre 2014

L'era del diamante, di Neal Stephenson


Ultimamente una diabolica accoppiata influenza+mal di schiena mi hanno costretto mio malgrado a letto. Si potrebbe tirar fuori un intero articolo sui buontemponi che al sentire "mal di schiena" ne profittano per l'ennesimo, trito predicozzo sui valori della ginnastica e dell'aria aperta, ma lasceremo stare. L'importante è che non potendo far altro che leggere ho spazzolato diversi tomi che normalmente avrei lasciato in disparte.

Il primo è L'era del diamante. Il sussidiario illustrato della giovinetta, di Neal Stephenson.
Nel 1992 Neal Stephenson ebbe per la prima volta successo in libreria con il romanzo Snow Crash. 
Il buon Neal tentava da anni di sfondare nella scrittura e aveva tutte le carte giuste per farlo. Il romanzo era cyberpunk purissimo al cento per cento e quando lo lessi alle superiori rimasi colpito: non c'era la mistica tecnologica che ammorba molta della produzione di William Gibson, ma predominava un interesse strettamente scientifico. In altre parole, Neal sapeva di quello che scriveva, e lo trasmetteva benissimo. E vogliamo parlare dello stile? Schizzato, velocissimo, frammentato all'inverosimile.

Con alle spalle il prestigioso successo, Neal cominciò a soffrire dell'ansia di prestazione. Il nuovo romanzo doveva, doveva assolutamente eguagliare il predecessore. E per farlo scelse la tecnica più facile del mondo: l'accumulo.
Per ogni buona idea in Snow Crash, nell'era del diamante ve ne sono cinque. La tecnica selvaggia dell'accumulo procede anche col moltiplicarsi dei personaggi, dei punti di vista, delle ambientazioni. Interi capitoli sono chiaramente la messa in narrativa di idee che Neal trovava fighe e che dalla trama principale sono chiaramente scollegate. A giudicare dai commenti irati su Goodreads e Anobii la tecnica ha i suoi bei difetti: annoia, rallenta ed elimina i lettori con deficit di attenzione, che non sanno resistere a una prosa pesante e a una narrazione lunga. Tuttavia, quest'accumulo ha giovato al romanzo, che nell'avanzato 2014 si rivela sostanzialmente molto più maturo e interessante di Snow Crash: molte delle idee suonano ancora attuali, mentre altre sono una sorprendente attualizzazione di temi ormai diffusi; i Neovittoriani non sono poi così diversi da certe tendenze Steampunk e Chappiste oggigiorno molto diffuse.

A metà del XXI secolo, la società si è definitivamente frammentata nei Phylum già intravisti in Snow Crash: piccole enclavi di carattere etnico-politico, che in cambio di obbedienza e rispetto offrono sicurezza e cibo. Lo Stato-nazione, apparato rigido e pachidermico, è scomparso perché ormai incapace di riscuotere le tasse e fornire servizi ai cittadini. La società ha inoltre completato la transizione dall'informatica alla nanotecnologia. Grazie alla nanotecnologia il corpo diventa un involucro per sonde e modifiche che il vecchio cyberpunk non poteva immaginare. Inoltre grazie alle nanotecnologie è possibile, letteralmente creare oggetti dal nulla. Grazie a strutture come il "Compilatore di Materia" (CM) si possono creare cibo, oggetti, mobili, armi, giocattoli...
La scrittura è praticamente scomparsa sotto l'azione dei mediaglifi. La sorveglianza poliziesca procede di pari passo con la criminalità nell'usare le nuove nanotecnologie. E' comune difendere un phylum con intere barriere di nano-virus, com'è altrettanto normale iniettarsi nano-riparatori che come globuli bianchi proteggano l'organismo. Nano-organismi vengono utilizzati sia nell'attacco che nella difesa, come per fabbricare ogni materiale.
La spazzatura, già elemento nascostamente presente nel cyberpunk procede la sua inarrestabile ascesa: è comune dover indossare maschere antigas per la quantità di nanotecnologie morte nell'aria, volgarmente chiamati "acari". Le nanotecnologie inoltre, essendo più leggere dell'aria permettono una rivincita del dirigibile.
Il che, unito allo smog da nano-organismi morti, rende l'ambientazione paradossalmente quasi vittoriana.

Senza dubbio Neovittoriano è uno dei tre maggiori Phylum nel mondo: sono persone che hanno scelto di vivere seguendo l'etica dell'età vittoriana, ma cercando di smussarne gli aspetti sgradevoli. 
Il capello a cilindro è modificato con nano-sensori per non volar via dalla testa, i guanti bianchi sono ingegnerizzati per assorbire lo sporco e risputarlo via. Il classismo è sì presente, ma senza risultare feroce quanto in passato. I Neovittoriani pur abbracciando la tecnologia sono inoltre nostalgici che stampano ancora la carta e coltivano nei phylum perfette riproduzioni della campagna inglese. Il tono di Neal si mantiene prudente, ma nell'insieme l'occhio verso questo phylum è gentile. Pur essendo pieni di difetti, i Neovittoriani sono gli unici nel romanzo che hanno conservato un qualche senso artistico: le loro creazioni, anche quando generate dal CM, hanno un netto marchio di qualità.

Ormai la nanotecnologia rendeva possibile di tutto, perciò il ruolo culturale del decidere cosa ci si doveva fare era diventato più importante che non immaginare cosa ci si poteva fare. Una delle grandi intuizioni del revival vittoriano: non era necessariamente un bene che tutti leggessero un giornale completamente diverso, al mattino.
Perciò, più salivi nella scala sociale, più il tuo "Times" diventava simile a quello dei tuoi pari.
Hackworth riuscì quasi a vestirsi senza svegliare Guendalina, che però cominciò ad agitarsi mentre stava agganciando la catena dell'orologio ai vari bottoncini e tasche del panciotto. Oltre all'orologio, alla catena erano appesi svariati ciondoli, come una tabacchiera che di tanto in tanto lo aiutava a tenersi su di giri e una penna dorata che scampanellava lieve appena riceveva posta.

Il romanzo è ambientato in Cina, ultimo paese a non essere stato colonizzato dalle nanotecnologie e ormai divenuto un paradiso per gruppi imprenditoriali e phylum di ogni genere. Ogni enclave è approdata in Cina, e come nella politica delle "porte aperte" ottocentesca, il continente è divenuto uno sterminato luogo di saccheggio. La Cina è spaccata tra una Repubblica Costiera filo-capitalista e un Regno di Mezzo fieramente feudale, mentre tutt'intorno gruppi maoisti e xenofobi si agitano per cacciare gli occidentali. E' affascinante come pur tratteggiando un mondo chiaramente alieno, Neal Stephenson ritragga una situazione politico-economica identica all'ultimo quarto dell'Ottocento.



venerdì 10 ottobre 2014

Bioshock. In nome del padre, di Filippo Zanoli


La collana Ludologica. Videogames d'Autore nasce nella preistoria del 2002 con lo scopo di fornire una pubblicazione finalmente seria e autoriale sui videogiochi, analizzandoli in profondità in relazione non solo a banali fattori di grafica e gameplay, ma sopratutto ricercandone le influenze sociologiche, storiche e semiotiche.

Come sempre succede per molti articoli di questo blog, ho scoperto la collana per puro caso stalkerando le pubblicazioni del Bittanti – la collana dopo più di un decennio di attività conta ormai una ventina di saggi che spaziano da saghe (relativamente) recenti come assassin's creed per passare ai Sims senza dimenticare approcci trasversali come i gay nella storia videoludica, o l'annoso (e noiosissimo!) rapporto tra cinema e videogiochi.
Sono saggi che mi verrebbe da definire scientifici, un'autentica boccata d'aria nel panorama tutt'ora nel 2014 asfittico e preda delle solite polemiche. Purtroppo la nota che mi sento più di fare alla collana sta nel suo dato esclusivamente fisico: oltre al rapporto sfavorevole tra pagine e prezzo, gli errori di battitura abbondano fastidiosi all'occhio mentre il dorso della pagina si sta scollando.
Inoltre, stando il 2014, è davvero imbarazzante che saggistica di tale spessore sia confinata alla carta: gli ebook quando disponibili (c'è qualcosina, ma non tutto) sono ancora troppo costosi, o in alcuni casi confinati alla prigione dell'arcaico Pdf. Se poi consideriamo quanto rapidamente si evolve il panorama videoludico, possiamo comprendere il vantaggio di tenere una versione digitale e aggiornarla a intervalli di sei mesi con gli ultimi ragguagli. Se l'opera è già finita, il problema non si pone: ma prendiamo la saga di Assassin's Creed o in questo caso Bioshock: come si può ignorare l'ultima uscita? Il libro fatalmente apparirà monco, le ipotesi e le speranze espresse dall'autore ridicolizzate dalle nuove svolte nella storia e nel gameplay. Chi avrebbe mai immaginato dopo Bioshock 2 che Bioshock (3) Infinite si sarebbe slanciato nell'alto dei cieli di Columbia? Una svolta improbabile, eppure...
Questi sono piccoli difetti che assolutamente non intaccano la lettura: ma ritenevo corretto verso il lettore specificarli fin da subito. Cavato il dente-difetto, passiamo alla parte interessante.

Bioshock, In nome del Padre tratta la famosa saga di Bioshock dalla prospettiva autoriale del suo game designer, il noto Ken Levine. L'autore, Filippo Zanoli, parte col descrivere sommariamente la storia degli sparatutto, analizzandola e scomponendola nei suoi fattori essenziali, con particolare attenzione al legame tra video e interazione con lo stesso. A differenza, per dire, dei gestionali, lo sparatutto è stranamente simile a un film in soggettiva, pur distorcendone ovviamente ogni paradigma. Citando i soliti noti, da DOOM ad Half Life, la prima parte del saggio pone le fondamenta per la seconda, risultando tuttavia piuttosto pedante.
Gustosissimo e per certi versi geniale l'idea di citare il racconto di Italo Calvino “Ultimo viene il corvo” collegandolo agli sparatutto e tracciando un inquietante collegamento tra giocatore e il protagonista autistico della storia.

Nella raccolta di racconti Ultimo viene il corvo edito da Einaudi per la prima volta nel 1949, Italo Calvino, mette in scena (proprio nel racconto principale che dà il nome al volume) una situazione che ricorda molto da vicino lo sparatutto in prima persona. Il protagonista, un bambino apparentemente afono (quasi autistico) riceve come regalo un fucile da alcuni partigiani. Lo utilizzerà con maestria al limite del sovrumano per sterminare una pattuglia di soldati tedeschi malauguratamente finita nel suo campo di visuale.

Ottenuto il fucile, il ritmo della narrazione cambia diventando quasi sincopato. Seguiamo ogni singolo proiettile sparato dal protagonista che si rivela sin da subito un atto conoscitivo, di (ri)appropriazione della realtà secondo la prospettiva distorta del cacciatore/tiratore che ri-tassonomizza il creato secondo le diverse categorie di bersagli. Anche la pattuglia nazista viene sezionata e ri-semantizzata tramite il fucile e le pallottole che agiscono come gli occhi e le mani e la bocca di un neonato che tenta di mappare un mondo completamente nuovo.

L'entusiasmo del giocatore alle prese con un FPS è molto simile (…).

lunedì 6 ottobre 2014

Prussiani Vs Alieni (e qualche riflessione sul crowdfunding)


La raccolta fondi via Kickstarter è ormai una prassi bene consolidata per alcune realtà e alcuni mercati: nel mondo anglosassone, finanziare un gioco da tavolo, di miniature, di carte collezionabili tramite una raccolta fondi è una mossa naturale, che fallirà difficilmente. 
Sebbene nell'ultimo anno si cominci ad avvertire un certo senso di “stanchezza” nell'ambiente, il crowdfunding continua imperterrito.

Nell'ambiente italiano, i progetti via crowdfunding sono meno diffusi.
Invece che puntare il dito contro una presunta arretratezza culturale che non ha senso di esistere, il vero problema sono le troppe piattaforme e le poche infrastrutture
Kickstarter, difetto che nessuno sembra considerare, necessita di un publisher americano per funzionare. E' in altre parole strettamente legato all'area anglosassone. Il suo bacino di preferenza restano gli Stati Uniti e da backer io stesso d'un paio di progetti, constato sempre quanto noi europei siamo cittadini di serie B. Per non dire C, N, Z...
Per mettere un progetto su Kickstarter devi per forza munirti di un contatto statunitense che risolva le varie pratiche legali. Una volta sulla piattaforma Kickstarter, hai già guadagnato un terzo di probabilità in più di vederti sovvenzionato: questo perchè Kickstarter è una piattaforma abbondantemente frequentata, anche solo da internauti curiosi di conoscere nuove idee, nuovi progetti. In altre parole, Kickstarter ha una community.
Il resto dei siti&servizi di Crowdfunding questa “community” non la possiedono. Il finanziatore deve poter unicamente, esclusivamente fare affidamento sulla sua fan base. In altre parole mesi ancora prima del lancio deve far(si) marketing, conquistarsi un numero di arditi su cui contare.
La cosa più vicina a una community simile a Kickstarter la possiede Indiegogo, che tuttavia sebbene sia aperta a ogni paese è di gran lunga meno frequentata.

In questo senso i progetti crowdfunding italiani andrebbero considerati con attenzione, ma anche con un po' di pazienza. Non è possibile continuare a paragonare i progetti Kickstarter americani con i progetti italiani. Il bacino d'utenza è diverso, nel puro senso quantitativo: confrontate le dimensioni degli Stati Uniti e dell'Italia e fatevi un paio di conticini. Il puro potenziale di clienti è diametralmente diverso.

Dopo la dispersione dei siti di crowdfunding e la mancanza di una community solida (problemi comuni al resto dei paesi europei) il secondo ostacolo sono la mancanza di infrastrutture.
Con il termine infrastruttura vogliamo qui intendere un sito/pagina web che diffonda e pubblicizzi i progetti Kickstarter. Esattamente come l'infrastruttura “Ospedale” permette di curare la popolazione, ugualmente il sito web dedicato al Kickstarter permette di kickstartare il progetto. Lo mette in comunicazione con una fan base più ampia, attira i curiosi, lo fa conoscere alla grande massa
Un medico senza bisturi&ospedale è inutile, altrettanto come un progetto crowdfunding senza siti che lo pubblicizzino. Nell'ambito statunitense blog e siti dedicati a dare visibilità ai progetti kickstarter più interessanti abbondano. Nell'ambito italiano invece sono piuttosto rari.

Un ruolo guida andrebbe svolto dai blog – specie di libri&fumetti. O dai forum. Ma l'entusiasmo verso Kickstarter è flebile, se non assente. Al di fuori del gioco da tavolo, le “alte sfere” del blogging sembrano odiare il crowdfunding. Se ne parlano, è solo per denigrarlo. E già che ci siamo addossare all'inesistente “cittadino medio italiano” la colpa di ogni fallimento. L'insuccesso nel crowdfunding non è dovuto a nessuna arretratezza culturale. E' dovuto alla mancanza di infrastrutture. In effetti addossare ogni insuccesso culturale all'italiano medio è razzismo tanto quanto considerare l'Africa arretrata per colpa di una presunta "inferiorità genetica dei negri". L'utente medio è bene disposto verso il crowdfunding... se glielo lasciate conoscere!

Terminata la filippica, passiamo al progetto di cui volevo parlare.


Prussiani vs Alieni è un progetto di fumetto autoconclusivo di 100 pagine circa, che parodia la fantascienza a base di robottoni, trasportandola a fine Settecento, nel regno di Prussia. Mentre l'attenzione dei popoli si concentra sulla rivoluzione francese, gli Alieni scendono sulla terra – e con bersaglio Prussia e Berlino. L'epica battaglia dei Prussiani contro gli Alieni è uno dei tanti capitoli dimenticati dalla nostra storia – accanto all'invasione degli struzzi seleniti di Forlani, le piovre di Bismark e il ruolo chiave dei Conigli nella storia mondiale.
Sto scherzando, ovviamente.
L'idea primaria è di mostrare botte da orbi tra robottoni steampunk e alieni mostruosi, infilando una vagonata di strizzate d'occhio e citazioni meta al cinema contemporaneo. Dalle fondamenta come Atlas Ufo Robot alla merda ipercinetica di Michael Bay alla maestosità ultrabarocca di Pacific Rim. La quantità di giochini e battute che si possono tirar fuori è inarrivabile, specie se affidata all'abile sceneggiatura di Davide La Rosa (Mulholland Dave, Suore Ninja, Fumetti Disegnati Male).

Certo, siamo in campi ben lontani dal verosimile.
L'accuratezza storica è totalmente sballata: non era la Prussia ma l'Inghilterra il primo paese a industrializzarsi a fine 700; i Pickelhauben sono un' invenzione ottocentesca; la forza dell'esercito prussiano non era la cavalleria...
Uso l'etichetta steampunk per comodità, ma è chiaro che il lavoro di documentazione non è qui storico, ma pop: sono i topos e gli stereotipi legati a Mech&affini a svolgere il ruolo chiave. La Prussia raccoglie qui molte delle suggestioni internettiane, ricordando un paese fiabesco e utopico. Tutti hanno barba&baffi e dalle tavole mostrate il tono è allegramente demenziale, ricordando i tratti schizzati di un manga occidentalizzato. Temevo che l'assenza del colore ricordasse troppo i Bonelli, ma la direzione presa – coerentemente con un progetto tanto bizzarro – è molto personale.

Al momento sulla pagina Facebook si possono ammirare i 6 eroi prussiani – la task force che ci salvò dagli alieni – e visionare parecchi bozzetti. Naturalmente i miei preferiti sono il ciccione e la tettona, ma potete anche apprezzare la personalizzazione netta di ogni robot.



Se vi sentite prussiani #coibaffi potete inoltre partecipare a un virile concorso. Verso ottobre comparirà inoltre un trailerino animato, mentre quotidianamente sia sulla pagina Tumblr che sulla Pagina Facebook vengono condivise nuove curiosità. L'appoggio insomma è forte e in barba (è proprio il caso di dirlo!) alla grossa somma richiesta, il progetto può funzionare.

Quindi andate e finanziate! Ogni più piccolo contributo è utile!
Non comportatevi come certi pavidi che finanziano solo i progetti che hanno già raggiunto la soglia minima: siate audaci. Sostenete i veri progetti di nicchia, non solo quelli "più convenienti". I soldi vengono prelevati dalla carta di credito solo e soltanto quando la soglia minima viene raggiunta. Non c'è alcun fantomatico rischio che tutto si volatilizzi nel nulla. Contrariamente a quanto spergiurano i media tradizionali, davvero pochi progetti di crowdfunding falliscono: chi li organizza mette sempre tutto sé stesso nel progetto, giocando sul tavolo dei finanziamenti orgoglio professionale e carriera.

A chi inoltre piagnucola sul perché il fumetto non potesse venire pubblicato con metodi normali, vorrei far notare quale mostruosa percentuale di tasse influisca sul progetto:

Su 15000 euro quasi 5000 in sole tasse!  

Prussia 1, Italia 0.

Addenda (7/10/2014)
La vicenda delle tasse è stata chiarita nei commenti dal Coffee Tree Studio. Grazie mille!

Fonti:

Pagina del progetto su piattaforma Ulule - basta registrarsi e una qualunque carta di credito, Postapay compresa.
Sito ufficiale ( ma consiglio di aggiornarsi sulla pagina Facebook)