mercoledì 10 settembre 2014

The Walking Dead (seconda stagione): Clementine e il giocatore, un rapporto difficile


Non è la prima volta che mi domando se certi interrogativi al momento di giocare un videogioco siano solo miei, o siano seghe mentali condivise da molti altri.
Certamente in alcune tipologie di videogiochi, dall'action allo sparatutto, storia e gameplay sono nettamente distinti. Si tratta di veri e propri comparti stagni, accolti con malcelato sollievo da giocatori che non hanno voglia di mettere in funzione il cervello. Abbiamo sezioni di gameplay inframezzate da sezioni di cut-scene: nelle prime il giocatore interagisce con la storia, nelle seconde guarda, passivo, lo svolgersi di una sceneggiatura immancabilmente mediocre. 
L'uso del filmato funziona come raccordo tra parti disperatamente sfilacciate, assolvendo al contempo da "pausa", ricompensa per il giocatore. Hai tanto faticato per sbloccare il checkpoint, ora goditi un filo di dialogo, una briciola d'inquadratura, un inaspettato colpo di scena. Per forza di cose, è inevitabile, questi filmati risulteranno sempre inferiori al peggior regista del peggior cinema serie B. Esistono certo registi mancati, come Kojima, che confermano con la loro eccezionalità la regola! Ma nell'insieme nessuna cut-scene viene ricordata per una carrellata, per un movimento di camera, per un montaggio che semplicemente non esiste.
La confusione è accresciuta dai sedicenti giornalisti, che belanti come pecore, acclamano un gioco per le sue cut-scene. Un autentico controsenso che un videogioco, medium che si caratterizza proprio per l'interattività con lo schermo, venga lodato quando questo controllo al giocatore viene tolto! Inchiodato alla poltrona, il giocatore assiste impotente al proprio personaggio inesorabilmente manovrato da una forza estranea, che tenta goffamente di spingerlo dentro una sceneggiatura gonfia di stereotipi. E' un mio pregiudizio che quest'ossessione per le cut-scene dipenda dalla formazione di molti laureati e giornalisti, che pur coltivando l'orticello dei videogiochi hanno studiato sul cinema. Al momento di recensire un gioco utilizzano gli strumenti del cinema e lo straziano terribilmente. Donde l'importanza del "filmato" perché l'unica sezione su cui il giocatore-spettatore sente di poter giudicare. Il filmato introduce inoltre un'ulteriore spaccatura, perchè se nel gameplay il giocatore crea la "sua" di storia, nella cut-scene la storia risulta un'altra. Idealmente le due porzioni dovrebbero fondersi armoniosamente, ma nonostante i recenti progressi e ancora una volta certe eccezioni (mi vengono alla mente alcuni giochi Rockstar), permane una certa schizofrenia, alla base. 

Una soluzione convincente veniva in questo senso offerta dai giochi di Ken Levine, dove sia nel primo che nell'ultimo Bioshock il filmato oltre che magnificamente inserito nella trama, manteneva fissa la visuale in prima persona, permettendo una limitata libertà di movimento. 
In questo modo, nel (finto) filmato iniziale, quando siamo nella Batisfera possiamo sì muoverci, ma siamo a tal punto catturati dalla Rapture che vediamo nel finestrino, che non lo facciamo e restiamo abbacinati a guardare, stupefatti. 
Sia nel primo che nell'ultimo Bioshock inoltre, nonostante la trama complessissima il fulcro della storia resta l'ambiente stesso. E' visitando Columbia e Rapture, attraverso le già succitate "scenette" che progrediamo nella trama. La sceneggiatura diventa pertanto non il gameplay e nemmeno i filmati, ma l'ambientazione! Levine lascia parlare una città, un luogo dove mediante diari e registrazioni giungiamo a farci strada tra comprimari e colpi di scena. Ovviamente una soluzione del genere richiede un minimo di iniziativa e intelligenza e chiede al giocatore di ricomporre i pezzi del "puzzle" della storia, che non è unitaria, come al cinema, ma frammentata più e più volte. Da qui la rabbia di recensori e giocatori, messi di fronte all'inconcepibile: dover giocare e dover pensare! Incredibile! Dove finiremo, di questo passo? E nemmeno un filmatino su cui affilare il bisturi del Dams! Orrore!

The Walking Dead: Season 2, dell'ormai eccellente Telltale, compie un passo simile.
Dall'essere un'avventura grafica inframezzata di dialoghi e scelte multiple, la saga si è lentamente sviluppata a diventare una sceneggiatura intermediale dove non c'è frattura tra storia e gameplay.





Nella prima stagione ci muovevamo dentro un territorio familiare sia sotto il profilo della storia che del Gameplay: specie nei primi episodi le sequenze di tradizionali enigmi e indovinelli costituivano la maggioranza, di tanto in tanto spuntava un dialogo. Persino il giocatore più tonto superava però gli enigmi, che raramente davano grattacapi. All'opposto, le linee di dialogo, forse per l'iniezione positiva di fumetti&serie tv, colpivano sempre. La scadenza nel tempo di risposta, l'ampia rosa di scelte non erano certe scelte rivoluzionarie, persino nell'ambito antidiluviano delle avventure grafiche. Tuttavia il dialoghista, chiunque fosse, aveva preso la storia a cuore. Ogni frase era azzeccata, ogni scelta lasciava col fiato sospeso. L'inevitabile conseguenza fu che lo già smagrito nucleo di puristi degli enigmi abbandonò il gioco, mentre sempre più giocatori casuali sceglievano (giustamente) di provare questo nuovo strano ibrido.
Anche sotto il profilo della sceneggiatura la storia partiva tradizionalmente.
Non me ne frega sinceramente se fosse già presente nel fumetto, ma difficilmente possiamo trovare nuova l'idea del carcerato condannato a morte, cui viene data una nuova opportunità. Lee rimane un personaggio simpatico e interessante, ma difficilmente "complicato". E' costruito apposta perché dia confidenza al giocatore. Ovviamente ciò non è per forza un male: a me Lee come a tanti altri è piaciuto parecchio. Però, non si dica che non è un personaggio banale: tra lui e Clementine il contrasto è volutamente netto, affinché nel giocatore scatti subito l'istinto di protezione. Nulla di più stereotipato che affiancare al giocatore una bambina piangente, per mettergli compassione. Ancora una volta: nulla da recriminare. La Telltale ha usato con virtuosismo i cliché a sua disposizione, e ha giocato bene le sue carte. Ma non si acclami l'originalità.
Con gli ultimi episodi, la prima stagione assottigliò sempre di più gli enigmi, moltiplicando colpi di scena, dialoghi e scelte che impattassero sulla trama. Il pubblico reagiva sempre meglio a questa svolta e voleva sempre più emozioni, più storia, più azione. Indovinelli e inventario lentamente scomparvero. L'ultimo episodio della prima stagione in questo senso è emblematico: niente esplorazioni, niente enigmi, solo dialoghi e QTE sul filo del rasoio.

Poteva la seconda stagione prendere una svolta diversa? Ovvio che no, fortunatamente.
Sin dal primo episodio una Clementine ormai saldamente prima adolescente (12-14 anni, credo) si muoveva sospinta dal giocatore tra scelte più che difficili proprio inumane, e righe di dialogo ovviamente spietatamente realistiche. Il problema stavolta era nella protagonista bambina.
Non conosco le dichiarazioni della Telltale al riguardo, ma difficilmente aveva già progettato una seconda stagione mentre preparava la prima. E' solo una mia sensazione, ovviamente, ma sono convinto che la Telltale non immaginasse lontanamente un successo tanto capillare. La seconda stagione è così una prosecuzione forzata della prima, uno risvolto inaspettato. Perchè, diciamocelo, se Lee è un personaggio che vende, Clementine presenta già una psicologia più interessante. Stiamo alla fine interpretando una bambina, cresciuta in un mondo di zombie, esperta sì in sopravvivenza ma pur sempre nell'aspetto e nel cervello “ragazzina”. Certo, nelle linee di dialogo si può ragionare come un adulto e fare le scelte che si ritengono opportune, ma è chiaro che certe scelte tradizionali che aveva Lee sono precluse, mentre se ne aprono altre più inconsuete.
Per quanto il grosso dei fan abbia accettato di buon grado il passaggio da Lee a Clementine, molti all'inizio della seconda stagione speravano in un colpo di scena che eliminasse una protagonista tanto inusuale. Massì, facciamola mangiare dagli zombie al primo episodio e poi Bam! Mettimi nei panni di un manzo marines tutto muscoli. Dai avanti! Dov'è la mia pistola, il mio calcio rotante, il mio Ammerikkaaa?

Gli sviluppatori, che solo per questo sarà grato per sempre, hanno scelto una strada opposta. Clementine è stata mantenuta, invecchiata di un paio di anni e temprata quel tanto in più perché effettivamente potesse svolgere un ruolo attivo. Questo non toglie che specie nella prima metà degli episodi, se ti immedesimi in Clementine ti senti un bagaglio ambulante: i diversi gruppi di sopravvissuti realisticamente rifiutano di comprendere quanto e quale aiuto potresti dare. Vieni continuamente, strenuamente, sopravvalutata. L'effetto è straniante, perché spesso i comprimari con i quali devi interagire compiono esattamente gli errori che hai già visto commettere nella prima stagione. In questo senso si aggiunge un altro elemento anomalo: una frustrazione narrativa.



Non tutto è perfetto.
La seconda stagione a tal punto alleggerisce l'impianto di gameplay che tutta la struttura rischia spesso di collassare, implodere. Le sequenze action sono senza dubbio benvenute, e funzionano qui molto meglio che nella serie di Fables. Gli zombie si prestano di più alle sequenze action, considerando che i movimenti lenti, alla moviola bene si adattano alla povertà di soldi della Telltale. Tuttavia, affidarsi solo a dialoghi e scelte morali rischia pericolosamente di trasformare il (video) gioco in video(gioco).
Spesso davvero ci si chiede (e non senza ragione...) quanto davvero influiscano le scelte. A volte poco, a volte tanto: ma difficilmente questa proporzione è bene rispettata. Alcune scelte francamente le ritenevo insignificanti mentre hanno rivelato risvolti spiacevoli, altre ancora erano chiaramente unidirezionali. Mi verrebbe da sottolineare che non è importate davvero se questa scelta c'è o meno, piuttosto che la si proponga al giocatore. In un certo senso la Telltale dà una libertà di scelta ingannevole, ma c'è comunque una grande soddisfazione in quest'inganno. Pur sapendo che sarà tutto inutile, pur sapendo che siamo nei binari prefissati, ci sembra di aver scelto.
E d'altronde, al di là dei dialoghi, quali scelte! The Walking Dead Season 2 è un manuale di sadismo. Proprio per "spezzare" la scelta tra buono/ cattivo, dove tutti i giocatori scelgono sempre "buono", si è cercato all'opposto di dare un senso di perdita sempre bene avvertibile.
Clementine perde sempre, non si discute su questo. Si sforza, si sacrifica, ma dal primo episodio all'ultimo qualunque scelta fai, perdi sempre qualcosa. The Walking Dead in tal senso è un manualetto base per imparare il conflitto nella narrativa. Tutti sono sempre contro tutti, tutti hanno da ridire su tutto, accontentare tutti risulta impossibile. In questo senso farebbe contento Romero, da sempre grande cultore della cattiveria umana. Romero a proposito dei videogiochi ha dichiarato di odiare Left 4 Dead perchè troppo buonista: nessuno aiuterebbe nessuno, in un epidemia zombie! Ecco, Romero, eccoti accontentato con The Walking Dead!
Questa seconda stagione inoltre esacerba molto il lato cattivo del giocatore.
Quando gioco avventure così intrecciate nella trama e nel gameplay, risulta per me irresistibile cercare d'immedesimarmi negli sceneggiatori. Cosa farei, se fossi lo sceneggiatore? Come sorprenderei il giocatore? Come lo fotterei giocando col suo buonismo?
Sono le seghe mentali cui accennavo in apertura all'articolo. Quando gioco roba del genere giungo a una certa schizofrenia, perché tento contemporaneamente di immedesimarmi in tre diverse persone.
La prima, ovviamente, è il sottoscritto, che deve sempre cercare di salvare baracca&burattini e far contenti tutti. 
Il secondo ovviamente è Clementine, la protagonista. 
Il terzo è lo sceneggiatore, di cui cerco sempre di anticipare le mosse, i colpi di scena, di spingere ai limiti il mondo narrativo-ludico della Telltale. Da qui il pensiero appunto confuso, schizofrenico: che salta da scelte compiute di cuore, scelte di sopravvivenza legate a Clementine e scelte narrative bastarde per vedere fino a che punto ti permettono di spingerti gli sviluppatori. E' così che ho scoperto in effetti, quanto si possa diventare bastardi in The Walking Dead: Season 2. 
Volendo, la strage di personaggi è (quasi) possibile, così come un finale “in solitaria”. Quanto vengono invece penalizzate sono le scelte di sopravvivenza: se rubi o rapini qualcuno stai pur certo che lo sceneggiatore te lo farà rimpiangere nella puntata successiva. Un meccanismo di contraccolpi (malefatta = punizione) che in realtà cozza violentemente contro il presunto realismo del gioco.
Si potrebbero addurre anche altri difetti. Ad esempio negli ultimi due episodi, la nascita di un bambino è addossata completamente a Clementine. Morta la madre, non si sa bene perchè, devi essere tu, una ragazzina di dodici anni, a occuparti del bambino per gran parte del tempo. E' come se gli sviluppatori avessero deciso di bruciare i tempi e ricreare con la protagonista e il neonato lo stesso rapporto tra Lee e l'ancora innocente Clementine. Non può funzionare, naturalmente.
E' un'idea stupida e il basso livello della grafica la peggiora ulteriormente. Quel neonato è un mostro: sballottato qua e là, indistruttibile, dagli occhi grandi e mostruosi, senza mai sete di latte. 
Un ubermensch dei neonati!

Come insegnava ironicamente Bittanti... Girl you will be a woman... Soon!

Il neonato è solo il sintomo di quello che è l'unico, vero difetto del gioco: la narrazione esageratamente pompata. Se da un lato, la storia in questa seconda stagione migliora nettamente, proponendo poi personaggi sfaccettati e ottimamente costruiti, dall'altro la necessità di colpi di scena porta a situazioni grottesche. All'inizio di ogni episodio la situazione è già esageratamente cupa, ma intanto che giochi diventa insostenibile. Si danza ai bordi del precipizio: ogni scelta può voler dire morte, ogni dialogo è intriso di pessimismo. La necessità di stupire e scuotere trascina all'uccisione indiscriminata nello stile di George rr Martin. Ogni secondo c'è un personaggio morto, morente, mutilato. E' una sceneggiatura crudelissima, che come se non bastasse deve aumentare il pathos non solo all'interno di ogni episodio, ma all'interno della stagione stessa. Come gli sviluppatori siano riusciti a costruire quest'autentica rincorsa alla distruzione totale davvero vorrei saperlo. 

Dunque, questo è The Walking Dead: Season 2: un videogioco dove storia e gameplay diventano sinonimi, una bambina è la protagonista e le scelte morali abbondano. E' un chiaro esempio di un gioco che prova a spingersi in territori inesplorati, a mappare ambiti mai toccati prima. Solo per questo, meriterebbe ogni attenzione. Se aggiungiamo che trasforma un personaggio inerme nel protagonista e che trasforma la storia nel gameplay... L'originalità emerge da sola.

E' un videogioco oggettivamente imperfetto, sotto tanti, molteplici punti di vista: ma prova almeno qualcosa di nuovo e lo fa con coraggio. Solo per questo lo comprerei a scapito dell'ennesimo blockbuster per nerd dal pistolino facile.

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