lunedì 18 agosto 2014

La casa delle vacanze, di Clive Barker


"Non volevo tornare"
Quante volte l'abbiamo sentita, questa frase?
Le vacanze ti catturano, letteralmente. 
Abbandoni con stakanovista dispiacere la tua postazione di lavoro, raccogli brontolando i tuoi sudati guadagni, stipi le valigie di beni che non ti servono... via, in vacanza. 
E se il posto è bello, il cibo buono, la compagnia piacevole, perché tornare?
Perché tornare a quel grigio mondo di affari burocratici, parenti serpenti, amichette isteriche, licenziamenti?
Perché invece non restare in vacanza, per sempre?

Febbraio, la grande bestia grigia, si era mangiato vivo Harvey Swick. E lui ora era lì, sepolto nello stomaco di quel mese opprimente, e si chiedeva se sarebbe mai riuscito a trovare una via d'uscita tra le fredde viscere che si estendevano da lì a Pasqua... 

La casa delle vacanze, copertina inglese.
All'inizio di questo romanzo per bambini scritto da Clive Barker, il protagonista Harvey questi problemi non se li pone. D'altronde, è un bambino di dieci anni e nel gustosissimo monologo dell'incipit chiaramente spiega cosa lo sta uccidendo. Non è il cancro, i bulli o la guerra: è per il bambino un male assai più oscuro e temibile: la NoiaHarvey si annoia, non sa cosa fare. 
Le giornate trascorrono lente sotto la pioggia grigia dei compiti in classe, le domande dei maestri, le camminate avanti-indietro verso quel penitenziario chiamato “scuola”.

Barker coglie molto bene la forma mentis di un fanciullo undicenne o giù di lì: sempre garbato nello stile, riesce tuttavia a trasmettere quel senso di Noia che già aggrediva Leopardi e che tutt'ora ricordo trascinava certe mie giornate da bambino. Ricordo che in terza o quarta elementare c'erano settimane dove non avevo altro da fare che ripetere gli stessi giochi, ancora e ancora fino allo sfinimento. Il tedio che può provare un bambino è terribile, perché non hai nessuna delle distrazioni di un adulto, o in mancanza di meglio, delle sue preoccupazioni. Non hai nulla, se non un vago senso di nausea.
Un esempio eccellente di un dialogo infantile e di una capacità di Clive Barker di comprendere il mondo dell'infanzia senza raddolcirlo è dato dal dialogo tra Harvey e sua madre:

«Non dovresti perdere il tuo tempo a star seduto qui,» gli disse la mamma quando lo colse a guardare le gocce che si rincorrevano sul vetro della finestra della sua cameretta.
«Non ho niente di meglio da fare,» rispose Harvey senza neppure voltarsi.
«Bene, allora potresti renderti utile,» ribatté la mamma.
Harvey alzò le spalle. Utile? Era un altro modo di dire «lavoro faticoso». Saltò in piedi sciorinando le sue scuse - non aveva fatto questo, non aveva fatto quello - ma era troppo tardi.

Quante volte abbiamo sentito scambi del genere? 
Sono piccole chicche, che certamente non definiscono un romanzo, ma denotano una finezza psicologica e una capacità di osservazione notevole. Ha mai scritto la Rowling nulla del genere? Dal dolciume marcio di Harry Potter all'insensata violenza del Seggio Vacante, la Rowling rimbalza contro il muro dell'infanzia con tutta l'ottusità degli adulti.


lunedì 11 agosto 2014

Lovecraft: la paura dell'ignoto (2008)


Il grande successo del Cantore di Providence rende sempre più difficile discuterne appropriatamente.
S'identifica Lovecraft con un nucleo piuttosto vago di argomenti e racconti, che costituiscono in realtà una fetta assai ristretta della sua produzione letteraria. Per i “nuovi” appassionati, il simbolo è senza dubbio Cthulhu, ormai presente nella psiche collettiva come la ciclopica silhouette di un gigante, dalla barba fatta di tentacoli. Le opere di Lovecraft andrebbero così ricondotte al solo Ciclo dei grandi Antichi, gettando via gemme come l'intero filone onirico ispirato a Dunsany, per non citare la più rozza produzione giovanile, affettuoso omaggio a Edgar Allan Poe.
Nell'ambito stesso della “mostrologia” lovecraftiana, sembra non sia possibile uscire dai cliché dei tentacoli, dei cultisti e del Necronomicon.
Yog Soggoth, Nyarlathotep, Shub – Niggurath, Azathot...
Non evocano alcuna lettura, alcun ricordo. La conoscenza di questi nuovi lettori è lacunosa, frammentata: tipica di chi più che leggere un argomento e appassionarsene, ne ha sentito parlare e dopo aver visto qualche immagine, letto un paio di paragrafi, abbia deciso di farla propria. Non voglio affermare che si debba dare degli esami, per dichiararsi fan di Lovecraft. Anzi, spero che mai questi autori di nicchia entrino nel pantheon universitario, che mummifica e ingrigisce qualunque argomento, a dispetto del suo potenziale rivoluzionario. Ognuno approfondisce Lovecraft quanto desidera; c'è chi lo prende a meme, chi ne segue gli aspetti più “giocosi” e chi, come il sottoscritto, giunge ad ammirarne la prosa cesellata e barocca. C'è spazio per tutti, lì fuori.
La superficialità della lettura moderna, tuttavia, cela un rischio e questo rischio è nel distorcere, anche inconsapevolmente, la filosofia di Lovecraft. E' noto che fosse meccanicistica, bastardamente atea e amorale, risolutamente intenta a dimostrare come l'uomo non sia che un granello nel Cosmo, una formica al cospetto di intelligenze aliene. Ciò non emerge mai, nei commenti e nelle opinioni dei fan. L'impressione contraria, invece, punta a trasformare Cthulhu in Satana, a travestire la mitologia lovecraftiana nell'ennesimo clone cristianeggiante, Bene vs Male. Vero che già dalla fine dell'impero romano, il cristianesimo cercava sempre d'innestarsi su ogni sostrato possibile, dal paganesimo, alla filosofia antica. Però in quest'ultimo caso, il boccone, questa nuova mitologia atea di H.p., rischia davvero d'ingozzarla a morte. Ovviamente, ci sono precedenti. Fu Derleth, un caro amico di Lovecraft, a presentare lo scontro tra antichi e nuovi dei come uno scontro tra angeli e demoni. Da bravo cattolico, Derleth non poteva sopportare l'idea che l'uomo non fosse all'assoluto centro dell'universo. La confusione s'accresce per il numero di pastiche e imitazioni di amici e lettori; giova ricordare che l'universo di Lovecraft era open-source, accessibile per sperimentazioni e rimandi.

Il documentario Lovecraft Fear of the Unknown (2008), non è nulla di tutto questo.

Pubblicato nel 2008, ora disponibile gratis sul progetto Open Culture, raccoglie le testimonianze di un'ampia schiera di ammiratori di Lovecraft, da Stuart Gordon a Neil Gaiman, raccogliendo lungo il percorso saggisti come S.T. Joshi e padri dell'horror come Ramsey Campbell.
Si parte dalla nascita di Lovecraft, analizzando poi i passi più importanti, dal periodo di “buio” a vent'anni, alla pubblicazione su Weird Tales, ai terribili due anni di povertà a New York passando di racconto in racconto senza trascurare la produzione giovanile. Una piccola retrospettiva verso la fine analizza il successo del fenomeno Cthulhu, senza lontanamente immaginare che avrebbe preso proporzioni davvero gigantesche coll'arrivo di Kickstarter e l'espandersi della Rete.
La durata breve impedisce che sia uno studio approfondito, tuttavia consegna un buon ritratto, affrontando con imparzialità il problema del razzismo e citando autori troppo spesso dimenticati, come Dunsany. 
Se ogni tanto i disegni presi dai diversi artisti possono sembrare trash, le riprese dell'attuale Providence e della magnifica architettura gotica del 600 e 700 contribuiscono parecchio alla giusta atmosfera. 
Manca la testimonianza del Re Nero, alias Stephen King, ma va bene così. Tra le sue idee che Cthulhu sia una gigantesca vagina e che Lovecraft non sappia scrivere dialoghi realistici solo perché non li riempie di parolacce dubito che avrebbe aggiunto qualcosa di utile alla discussione. La vera pecca sono invece che mancano i sottotitoli, sia italiani che inglesi. Le interviste sono comunque lente e gli intervistati professori, che parlano chiaro e scandito.

Degli autori in causa, direi che spiccano Ramsey Campbell, S.T. Joshi, Caitlin r Kiernan e Guillermo del Toro...

lunedì 4 agosto 2014

Modellismo steampunk via Kickstarter: Wolsung, Infamy, Twisted.


Abbiamo tutti le nostre piccole passioni.
C'è chi colleziona francobolli, chi preferisce le monete antiche. 
C'è chi fotografa le scritte dei cessi dell'università, chi completa ogni singolo achievement di ogni singolo videogioco.
Chi veste solo abiti firmati, chi fuma solo quel tipo di sigarette, chi deve correre ogni tot ore. 
Chi colleziona auto da corsa, chi colleziona diamanti, chi deve farsi di cocaina alla sera.
Diverse passioni, diverse fissazioni. Ma certo nessuno è più da compatire di chi, come il sottoscritto, ha l'unica fissazione del modellismo. Chi colleziona miniature, nel particolare. Specie nell'ambito del wargaming, dei giochi tridimensionali, degli ibridi cooperativi e degli Rpg.

Sono sicuro che, a un conto razionale di quanto spendo, mi sorprenderei a trovare una cifra molto bassa. Ne sono sicuro perché da bravo studente-barbone di Lettere, tutti i miei soldi (o almeno il 90%) se ne vanno in grigie fotocopie per tesi e testi d'esame. E ne sono altrettanto sicuro perché vedo amici e conoscenti che spendono molto di più e per cause molto più futili.
Diamine, ho perso il conto dei viziati figli di borghesi dalla triplice auto, che mi raccontano che dopo aver fatto ben due esami in giugno (due sono tanti? Hahaha! E di quale facoltà? Dams o scienze sociali! >.<) andranno in vacanza iperpagata, o si vedranno pagato il bollo dell'autino regalato a diciotto anni. 
Già, a voler infierire, le spese per il motorino o per l'auto non sono proprio cosucce da nulla. Vogliamo poi discutere degli Hobby per ricchi sul serio, come la pesca?

Eppure, anche così, il conto e il prezzo delle miniature e del modellismo sono spesso roba da svuotare il portafoglio e lasciarlo depresso e piangente in un angolo. E' una conseguenza psicologica, perché ripeto, razionalmente le spese sono contenute. Dal mio punto di vista, dopo aver fatto un esame di storia dell'arte greca e romana, non trovo grande differenza dal cittadino greco che comperava le statuette in bronzo e l'italiano (io) che compra le miniature. Nel caso dell'antica Grecia agiva una (minima) spinta religiosa, ma in entrambi i casi sottostava sempre una potente spinta estetica.
E' un fattore che l'irrigidito, stupido consumatore/ essere umano attuale non può comprendere.
Non può capire che non m'interessa acquistare un oggetto, la miniatura. Piuttosto, m'interessa comprare un oggetto d'arte, che come Dorian Gray insegna, è fonte di piacere. Piacere estetico, derivante dalla sua contemplazione. Io non tengo le miniature assemblate sul tavolo perché mi piace vantarmene: le tengo perché guardarle mi provoca – se ben scolpite e dipinte – una vivissima soddisfazione che non ha nulla a che fare con il gioco cui è collegata o col fatto – opinabilissimo – che sia un “giocattolo”. Ma tant'è: gli stessi idioti che marchiano modellismo e action figures come “inutili” sono gli stessi geneticamente incapaci di apprezzare il fumetto, e che ai musei d'arte cercano solo le tele più costose perchè solo quelle “valgono”. Gl'identici coglioni che se gli dai in mano una miniatura, non sono nemmeno in grado di tenerla in mano e la schiacciano, rompendola: è colpa tua, ti diranno, sono giocattoli fragili e inutili. A lungo andare questi critici (numerosissimi come scarafaggi, ma meno utili all'ecosistema) si dedicheranno, per darsi un tono, all'arte astratta, che non è arte e non contiene mai messaggi politici o culturali e che li lascia così soddisfatti alla loro apatia conta-soldi. Si capisce, che li disprezzo?

Ma parlavamo di modellismo. E più nello specifico, modellismo steampunk.
Da quest'estate, sono comparsi in successione tre progetti di miniature steampunk che potrebbero interessare gli appassionati del Dio del vapore. Sono tutti e tre su Kickstarter, la nota piattaforma di crowdfunding ormai consueto passo per gran parte dei progetti di giochi da tavolo.