sabato 28 luglio 2012

Sono un automa caricato a molla: tick tock!


In piena epoca vittoriana un giovane padre dalle lunghe basette accompagna la figlioletta adorata in un viaggio in treno: la piccola mostra d'essere spaventata, triste, ma con caldo abbraccio il padre le ricorda con filastrocca non sense che il suo vecchio Teddy Bear è lì con lei, pronto a proteggerla. Ma nel corso della notte la piccola sparisce, il malridotto orsetto- avanzatissimo giocattolo caricato a molla- inizia a giocare al piccolo ventriloquo e fra orologiai impazziti, strani esperimenti e automi senz'anima, il viaggio si trasforma in notte d'orrori.

Il ridottissimo cortometraggio- appena 11 minuti- è il prodotto del regista inglese Amin Mueller, che ha così concluso degnamente il suo master universitario. Le riprese- alquanto accurate- sono durate cinque giorni, ma il lavoro di rifinimento di immagini e suoni, superbi quest'ultimi, sono durati oltre un anno.
L'effetto è buono, e grazie a una narrazione breve e densa permette al film di distinguersi dal mare magnum di video di cosplay che affollano il tubo.
Non credo si possa definire steampunk, sebbene il suo primissimo premio l'abbia vinto in una competizione dedicata a Portland. L'elemento steam si limita a ingranaggi e look, che per quanto riusciti conoscono qualche esagerazione. (Perchè inserire sempre gli occhialoni? Perchè?)
La definirei dunque storia gotica con inserti steampunk ^^

Spesso ho davvero l'impressione di sentirmi una marionetta, un fantoccio manovrato da invisibili ragnatele, balocco di dei beffardi; altre volte mi sveglio e- forse complici gli studi nel meccanicismo cartesiano la sensazione d'essere un automa caricato a molla, uno di quei vecchi soldatini a cui avviti la croce nella schiena fino a torcere la molla allo spasimo, per poi lasciarlo andare, un frenetico passo dietro l'altro...
E' alquanto snervante. 
Non è l'olio che t'alimenta, è il caffè: ma cambia poi molto in fondo? 
Sono entrambi fluidi velenosi, alla fin fine ^__^

Attualmente Best Movie detiene il monopolio di Tick Tock: scelta infelice, considerando quanta maggiore visibilità permetterebbe youtube:



giovedì 19 luglio 2012

Orologio all'assalto

Donne, dirigibili e brutti contadini: XIII 

- Che posto è mai questo?-
Per una volta, osservò Katherina, Kelly parlava sincera, senza la solita fastidiosa patina di arroganza e autorità. Si tormentava una ciocca di capelli neri col mignolo, mentre lo stivale sinistro batteva a terra, nervoso.
- E' un ascensore, commissaria. Sa, quelle macchine tirate da carrucole, che vanno su e giù-
Mimò l'atto con tono di scherno. Il senatore alla battuta sospirò. Si appoggiò alla parete rivestita di legno lavorato dell'ascensore, premette il bottone "-1"  sul display in oro battuto. 

martedì 17 luglio 2012

Nel nome di sua maestà! (Vittoria, ovviamente!)

" Lunga vita alla regina! "

Un'adorabile baldracca. 

Si pulisce i baffetti dalla schiuma della birra, sbriga una veloce occhiata al pub deserto: sicuro d'essere in pace digita sulla tastiera in avorio lavorato, clicca col mouse in acciaio cromato "Nuovo post" sullo schermo lamierato in ottone.

Ho scoperto relativamente da poco gli Osprey. Al negozio del modellismo locale i pochi albi erano invariabilmente dedicati al periodo napoleonico, che nella sua parata di soldati pagliaccio mi hanno sempre lasciato decisamente freddo e piuttosto indifferente.
Ad ogni modo, sfogliandoli ho sempre apprezzato l'estrema cura nella ricostruzione, il livello perfezionista di dettaglio con cui vengono spiegate truppe e armamenti, senza dimenticare quantomeno utili analisi della situazione storica del dato periodo.





sabato 7 luglio 2012

Miraggi


Breve racconto autoconclusivo. Potrebbe interessare le condizioni in cui l'ho scritto: sera tardi, decisamente ubriaco, col cervello surriscaldato dal troppo caldo ^__^
Forse in futuro proverò ad ampliarlo, o dargli uno scheletro di trama: in ogni caso commentate pure la vostra opinione.

Miraggi


Odio l'estate.
La birra che sorseggio è calda, amara: la schiuma straborda sulle dita, il gusto è rancido, decisamente marcio. Larghe macchie di sudore appiccicaticcio s'allargano sotto le ascelle. Risistemo il colletto, fradicio. Fottuto caldo. Bevo un altro sorso, per poco il bicchiere non mi scivola dalle mani sudate.
Il barista dà una ripassata all'impasto di gel, sporco e sudore dei suoi capelli, spinna svogliato l'ennesima birra bollente.

- Dicono che cambierà il tempo – Un mio amico, compagno in bevute, è in vena di parlare: alza un dito, tiene coll'altra mano il boccale di birra; piscio caldo... Birra, mi correggo, gocciola per terra. - I meteorologi hanno annunciato un...- S'interrompe, aggrotta la fronte. Posso immaginare i suoi pensieri sbattere braccia e piedi nel tentativo di mantenersi a galla nel mare d'alcool che abbiamo in corpo- Fronte temporalesco- 
Sorride, soddisfatto.

- Speriamo, speriamo. Dio, qui si cuoce – Termino la birra in fretta, ne ordino un' altra con segno del pollice al barista. Serpentine di sudore mi scorrono lungo le tempie, dipingono strani arabeschi nel legno del bancone. Immergo il grugno nella birra, per poco non sputo tanto fa schifo. 
Fosse almeno fresca... Fuori dal bar, gruppetti di palestrati fanno mostra dei muscoli, abbronzandosi al sole. Fighetti del cazzo. Qualche testa galleggia nel mare, bizzarra lontana visione.

- Quando arriva Elizabeth, hai detto?- chiedo per l'ennesima volta all'amico. Tiro fuori il cellulare, l'appoggio al bancone rovente. Nessun messaggio, nessuna suoneria. Morto cotto, proprio come il sottoscritto.

- Alle cinque, no? Te l'ho già detto, ricordi?-

- Me l'ha già detto, gliel'ho già chiesto. Ma questo tempo, questa dannata calura. Distorcono il tempo, allungano le ore. Mi passo una mano davanti agli occhi. La realtà muta, con tutto questo caldo. Guardo la birra. La ricordavo piena, dannazione. Ne ordino un'altra. Rispondo.

- Già. Ma sono le cinque e mezza, vecchio mio.-

L'amico batte una pacca sulla spalla, consola: - Arriverà. Abbi fede.-

Annuisco. Bevo in fretta un paio di sorsi. Quanto- penso- sarebbe figo se fosse già autunno? E se il bicchiere che stringo fosse un calice in vetro lavorato, e non plasticaccia bianca? E se invece di rumorose auto, fossero le carrozze a rotolare sul selciato? E se invece di questa lurida camicia azzurra indossassi un panciotto di raso, una tuba nera, l'elegante elsa di un bastone da passeggio nella mano? Passo la mano sulla fronte, la detergo... Asciutta.
L'amico mi sorride, alza il calice pieno di vino e sorseggia con eleganza un breve sorso. Gli orli in filo d'oro della giacca a code luccicano sotto la luce. Appoggio il calice- vetro lavorato- sul bancone. Accanto al bicchiere appare poggiato un cappello a cilindro, lucido feltro nero.
Dalla vetrata del bar, scorgo la strada. Selciato a porfido, continuo- costante rumore di zoccoli e cavalli e gentiluomini in ghetta e tuba e fanciulle in crinolina e corsetti.
E' un attimo, una frazione di secondo. Il barista mi porge la quarta (o quinta?) birra.
Appoggio le labbra al bicchiere... ed è plastica. Nascondo una ciocca umida dietro l'orecchio. Caldo di nuovo. Birra rancida. Di nuovo. Ventunesimo secolo, welcome to hell! Sbottono la camicia bagnata. Fuori, un autobus scoreggia in avanti, vomita una torma di ragazzini urlanti.

- Ehi! Ehi!- L'amico mi batte il pugno sulla spalla. - Guarda, Elizabeth è arrivata!-

Mi asciugo la fronte per la terza volta. Fra i palestrati stesi come pezzi di carne a rosolare al sole, le vecchie dalle tette rifatte, i bambini piccoli demoni ricoperti di sabbia avanza una sottile, flessuosa figura. Bevo un primo sorso. Passo dopo passo Elizabeth si avvicina, i capelli rossi come ardenti braci alla luce del sole. Bevo un secondo sorso. Elizabeth si protegge dal sole con un parasole color panna, affannoso respiro sotto il corsetto vittoriano. Bevo un terzo sorso. Un'improvvisa brezza spazza il bar, quando Elizabeth entra nel bar. La sottile figura a S di gonna e bustino si piega in un saluto. Per un effimero attimo mi sento rivivere.

- Pensavo... Pensavo avessi cambiato idea- Borbotto. 
Sorride, strizza un occhio. Io accenno un baciamano, rifiuta trillando di sorpresa.

- Sempre così fuori dal mondo, amico mio!-

La mano inguainata nel guantino nero che stavo per baciare scompare, mi rendo conto di come Elizabeth indossi una T-shirt fabbricata a macchina, tristi pantaloncini tagliati al polpaccio. E fa caldo. Di nuovo. Agguanto il bicchiere, lo trovo vuoto.

- Barista, un'altra birra!-