venerdì 12 dicembre 2014

Lo hobbit: guida alla lettura (cap. 8-11)


Per forza di cose nelle quattro lezioni a disposizione Corey Olsen forza il ritmo, spinge il pedale sull'acceleratore. Ecco allora alcuni capitoli trascurati a favore di altri, cercando d'inseguire il filo rosso di diversi temi portanti: il Fato, l'anello e il protagonista Bilbo. Per forza di cose dunque il mio riassunto può ritornare sui suoi passi o dare per scontati diversi passaggi della trama.
Spero che nell'insieme l'analisi non si confonda troppo...

Ancora prima che i nani entrino a Bosco Atro, sanno che è un luogo pericoloso, molto pericoloso. Non solo per gli avvertimenti di Gandalf, ma sopratutto per Beorn, i cui consigli suonano affatto rassicuranti:

« Ma la vostra strada attraverso Bosco Atro è scura, pericolosa e difficile » egli disse. « Non è facile trovarvi né acqua né cibo. Non è ancora la stagione delle noci - anche se in verità potrà essere arrivata e passata prima che arriviate dall'altra parte del bosco - e le noci sono più o meno le sole cose buone da mangiare che crescono là dentro: tutto il resto è selvaggio, oscuro, strano, feroce.»

L'interlocutore è Beorn! Un mutapelle mostruoso e violento, che non attacca la compagnia di nani solo per l'astuta tattica di Gandalf di far entrare i nani uno a uno, dosando il discorso man mano. Altrimenti avrebbe impalato le loro teste sulla staccionata, come puntualmente mostra di fare con il Grande Goblin e il leader dei Mannari. Insomma, Beorn, l'essenza della ferocia, è impaurito da Bosco Atro. Servono davvero altri avvertimenti?
Il pericolo è inoltre diverso perché insidioso, sottile. Lasciare il sentiero espone a seri rischi, ma contemporaneamente non si può non lasciare il sentiero a meno di morire di fame. Tra Bombur addormentato e allucinazioni varie, Bosco Atro gioca una sporca guerra psicologica sulla psiche dei tredici nani (e un hobbit!).




Sono due le popolazioni che abitano il bosco: gli elfi e il Negromante. Non dobbiamo considerare i ragni come razza a sé stante, perché sono fauna del bosco, pervertita dal genio maligno del Negromante. Sono l'incarnazione vivente che Bosco Atro è in guerra contro sé stesso, intrappolato dentro una lotta fratricida.

Gli elfi silvani di Bosco Atro sono elfi sindarin, elfi di minore lignaggio rispetto alla creme de la creme che abita Granburrone. Il loro re, Thranduil, possiede una reggia che ricorda un sistema di caverne. La sua brama per i tesori lo rende così paradossalmente simile ai nani. Thranduil, tuttavia, non desidera grandi ricchezze per amore dell'oro, o brama personale: ma solo per un diritto elfico che ritiene di meritare. I suoi predecessori avevano molte più ricchezze di quante egli possegga, conseguentemente vuole mantenersi all'altezza dei suoi antenati. Si considera paradossalmente povero e vuole porvi rimedio con l'oro dei nani su cui ha diritto.

Bosco Atro è dunque nell'intero romanzo il luogo dove più abbonda la magia. Sia il fiume, che gli alberi, che i suoi stessi abitanti sono imbevuti d'una magia spettrale e inquietante. Il suo carattere soprannaturale lo rende pertanto la tana perfetta per il Negromante, che trasforma l'inquietante in terrorizzante, deviando verso il male un popolo normalmente neutro quale gli elfi silvani.
Una perfetta sintesi di Bosco Atro viene a questo proposito paradossalmente offerta dalla descrizione di Pipino a Fangorn, dove troverà gli Ent nelle Due Torri:

« Ma il sole in ogni caso vi darà un'occhiata di tanto in tanto », disse Merry. « Ciò che sentiamo e vediamo in questa foresta non corrisponde affatto alla descrizione fattaci da Bilbo nel Bosco Atro. Quello era completamente scuro e nero, e abitato da cose scure e nere. Questa è semplicemente un po' buia, e terribilmente “vegetale”. Impossibile immaginare che degli animali vivano qui, o vi trascorrano molto tempo ».

Quando Bilbo si risveglia imbozzolato dai ragni, l'incubo è talmente insostenibile che rimpiange bacon&caffelatte, pentendosi d'aver abbandonato la Contea. E' una situazione che ricorre spesso per l'intera avventura. Bilbo, disperato, ritrova forza nel lato Baggins/borghese, per superare poi l'impasse grazie al coraggio del lato Tuc. Rispetto a quand'era nelle Montagne Nebbiose in balia dei goblin e in seguito di Gollum, qui la situazione è indiscutibilmente peggiore: digiuna ormai da molti giorni, è prigioniero dei ragni, è impaurito e depresso. Eppure è proprio in questo momento che non bisogna esitare a definire disperato, che Bilbo compie la sua prima, vera azione eroica. Sguainata la spada, trafigge il ragno per liberare poi nano dopo nano. Anello al dito, spada alla mano guida una carica che per la sua statura è indubbiamente eroica. E' in quest'occasione che nomina la sua spada Pungolo, o nella traduzione del mio Adelphi, Pungiglione. Pungolo non è affatto un nome eroico e si contende il titolo di spada dei poveri con Ago di Arya in George rr Martin. Ancora una volta la natura umile e casereccia di Bilbo si fa sentire. Viene inoltre raramente fatto notare come Pungolo venga qui usata per la prima volta. I goblin nelle Montagne Nebbiose lo sorprendono all'improvviso, mentre la scelta di risparmiare Gollum è tra le scene più importanti del libro. Bilbo porta la spada, ma la usa singolarmente poco, specie per un eroe fantasy. Anzi, è riluttante a usarla.
E' infatti la canzone di Bilbo più che il combattimento a farli infuriare:

Vecchio ragno grasso e tondo,
che sull'albero provvedi
fili a tesser, mi nascondo
e così tu non mi vedi!
Sputaveleno! Sputaveleno!
Al lavoro metti freno
e non tessere perché
mai potrai prendere me.

Perfino Tolkien ammetteva come questa canzone fosse tra le sue peggiori, ma nondimeno segna la nascita del Bilbo cantautore. Nel Signore degli Anelli, Bilbo compare quasi unicamente in questo ruolo: un abile paroliere. Alla sua centoundicesima festa di compleanno tutti vogliono ascoltare il suo ultimo discorso. Persino nel film di Jackson racconta un episodio de Lo hobbit a dei giovani halfling in trepidante attesa. Giunti a Granburrone, un anziano Bilbo racconta a Frodo di stare scrivendo il suo diario... Che nella finzione tolkieniana probabilmente corrisponde alla (falsa) versione del 1937. Cominciate forse a comprendere in che senso il Tolkien filologo entri nel fantasy e in che senso gli fornisca una straordinaria credibilità e coerenza.

Eppure, persino quando nel folto della mischia, Bilbo non prova mai piacere nell'uccisione. Anzi, il lato Baggins ancora una volta gli fanno rimpiangere i bei vecchi tempi nella Contea. E quando, intrappolato nella reggia di Thranduil, è costretto a rubacchiare e nascondersi, sempre con l'anello addosso, non ci trova nessuna soddisfazione. A Bilbo, nonostante l'etichetta di burglar, scassinare e rubare non piace affatto. Quello che vorrebbe, è comporre poesie e canzoni.
Odia l'idea di vivere in eterno come Gollum, mendicando cibo come uno spettro parassita.

« Sono come uno scassinatore che, entrato in una casa, non può più andarsene, ed è quindi costretto a scassinare miseramente la stessa casa un giorno dopo l'altro » egli pensava. « Questa è la parte più triste e squallida di tutta questa maledetta, estenuante, scomodissima storia! Vorrei proprio essere di nuovo nella mia caverna accanto al mio bel fuoco caldo, colla lampada che splende! ».

Nel momento in cui combatte i ragni, nel momento in cui è prigioniero di Thranduil, quello che davvero vuole è scrivere poesie. La scoperta della vena creatrice arriva qui, tra ragni&elfi. Non a caso nel Signore degli Anelli, arrivato a Granburrone diventa la sua ultima attività da pensionato vegliardo:

« Sedevo e riflettevo, beninteso. Ormai gran parte del mio tempo lo passo in questo modo, ed il posto più adatto è proprio questo salone. E lui parla di svegliarmi! », esclamò, strizzando l'occhio a Elrond, un occhio brillantissimo e per nulla addormentato. « Svegliarmi! Non stavo mica dormendo, egregio Elrond! Se volete saperlo, avete finito il vostro banchetto troppo presto, e siete venuti qui a disturbarmi... nel bel mezzo della creazione di un canto. C'erano un paio di versi che non venivano, e rincorrevo l'ispirazione per trovarli; ma figuriamoci se adesso riesco a combinare qualcosa. Dovrò chiedere al mio amico il Numenoreano di aiutarmi. Dov'è? ».

La fuga dal reame di Thranduil, affogata da Jackson in un mare di CGI, avviene per iniziativa di Bilbo. E' Bilbo a organizzare la fuga, ad avere l'idea, a incoraggiare nani recalcitranti nei barili. Tuttavia, alla prova dei fatti, il piano di Bilbo ha successo grazie alla sua buona fortuna. L'occasione della festa e l'ubriacatura delle guardie sono straordinarie quanto incredibili occasioni.
Giunti a questo punto, a metà della storia, sarebbe interessante fare attenzione quante, straordinarie volte la fortuna salva e/o aiuta Bilbo.
Nella gara di indovinelli con Gollum, tre indovinelli vengono risolti per pura fortuna.
Quando devono attraversare il fiume nel Bosco Atro per puro caso (fortuna?) trovano una barca sulla sponda opposta. Le spade elfiche nel bottino dei troll sono un colpo di fortuna. Per non parlare dei casi più eclatanti: il ritrovamento dell'anello, i combattimenti nelle montagne nebbiose, l'arrivo provvidenziale delle aquile a salvarli dai Mannari.


Se approfondiamo la questione, persino i colpi di sfortuna sono in realtà mosse del Fato, che previene i malvagi e premia i buoni. Quando Gandalf e i nani si arrampicano sugli alberi per sfuggire i Mannari, dopo essere usciti dalle Montagne Nebbiose hanno una grande sfortuna: sono finiti infatti dritti dentro un contingente di orchetti e Mannari che voleva saccheggiare e uccidere gli insediamenti umani vicino al foresta (compreso Beorn, probabilmente). Dalla padella alla brace, come impreca Bilbo e come intitola Tolkien il capitolo.

« Che facciamo, che facciamo! » gridò. « Sfuggire agli orchi per essere presi dai lupi! » disse, e l'espressione divenne proverbiale, anche se ora si dice « dalla padella nella brace » quando ci si trova in una situazione spiacevole di questo tipo.

Quella radura delimitata dagli alberi era evidentemente un luogo di raduno dei lupi. Continuarono ad arrivarne sempre di più...

Vi dirò che cosa udì Gandalf, anche se Bilbo non lo capì. I Mannari e gli orchi si aiutavano spesso a vicenda nelle loro azioni malvagie. Di solito gli orchi non si avventurano molto lontano dalle loro montagne, a meno che non ne vengano snidati e cerchino nuove case, o vadano in guerra (cosa che, sono lieto di dire, non si è verificata per molto tempo). Ma in quei giorni ogni tanto facevano delle scorrerie, specialmente per procurarsi del cibo o schiavi che lavorassero per loro, e talvolta cavalcavano i Mannari come gli uomini fanno coi cavalli. quel che sembrava, una grande scorreria di questo tipo era stata progettata proprio per quella notte. I Mannari erano venuti a incontrare gli orchi, e gli orchi erano in ritardo. I motivi erano senza dubbio la morte del Grande Orco e lo scompiglio causato dai nani, da Bilbo e dallo stregone, ai quali probabilmente stavano ancora dando la caccia.Nonostante i pericoli di quelle terre remote, uomini arditi provenienti da sud si erano spinti fin là, abbattendo alberi e costruendosi dimore in cui vivere, in mezzo ai boschi più belli, nelle vallate e lungo le sponde del fiume. Ce n'erano molti, ed erano coraggiosi e ben armati, e nemmeno i Mannari osavano attaccarli se erano in molti, o in pieno giorno. Ma ora avevano progettato, con l'aiuto degli orchi, di calare nottetempo su qualcuno dei villaggi più vicini alle montagne. Se i loro piani si fossero svolti secondo il previsto, non ce ne sarebbe rimasto nessuno il giorno dopo; sarebbero stati tutti uccisi, tranne pochi che gli orchi avrebbero sottratto ai Mannari e portato via come prigionieri nelle loro caverne.
Terribile era ascoltare quello che dicevano, non solo pensando ai coraggiosi boscaioli, alle loro mogli e ai loro figli, ma anche per il pericolo che ora minacciava Gandalf e i suoi amici.
I Mannari erano furiosi e perplessi per averli trovati lì, proprio nel loro luogo di raduni.
Pensavano che fossero amici dei boscaioli, venuti a spiarli, e che avrebbero divulgato i loro piani giù nelle valli; gli orchi e i lupi avrebbero dovuto così sostenere una battaglia terribile invece di catturare prigionieri e divorare gente sorpresa nel sonno. I Mannari quindi non avevano alcuna intenzione di andarsene e di lasciar scappare quelli che stavano sugli alberi, non prima del mattino, in ogni modo. E prima di allora, dissero, gli orchi-soldati sarebbero scesi dalle montagne; e gli orchi sono ben capaci di salire sugli alberi o di abbatterli.

Tuttavia, il loro arrivo trattiene gli orchetti e attira, sempre per bizzarri colpi di fortuna, le aquile.
I mannari sono scacciati, gli orchetti uccisi. Quello che sembrava un colpo di sfortuna - finire nel bel mezzo dei nemici - ha in realtà evitato che Beorn e gli uomini in quella regione vengano sterminati. Anni a venire, i coloni umani che sarebbero potuti venire uccisi quella notte formeranno un nuovo regno, con Beorn e la sua stirpe di mutapelle a capo. Un bel colpo di fortuna, paradossalmente! Vediamo qui una caratteristica distintiva di Tolkien; grazie al Fato (o a Dio, se preferite) i nani e Bilbo sono finiti per ostacolare i piani del male, che viene di conseguenza eliminato dalle sue stesse azioni malvagie. In pratica, ci si fa più male a voler fare il male che il contrario. La punizione proviene dalla malvagità stessa. Il destino provvede sempre attraverso le sue marionette, in questo caso Bilbo, nel Signore degli Anelli Frodo, a muovere le fila, a punire il male attraverso le azioni inconsapevoli del bene.
Una visione naif del mondo, contraddetta dalle prove empiriche di secoli di storia. Spesso sono proprio gli esaltati che si credono agenti di qualcosa di più Grande (sia religioso che laico, le ragioni della storia di staliniana memoria) a causare il male. Il male lo si compie con tanto più gusto quando si è convinti di fare il bene. 
Ma sto divagando dal povero Olsen, scusate.
Ciò non di meno aiuta a comprendere il senso dell'opera di Tolkien. Bilbo agisce per mano, o spinta di straordinari colpi di fortuna, che giunge a pensare addirittura sua caratteristica personale. La fortuna, il fato, i Valar prediligono inoltre i piccoli e gli umili, e non può esserci nulla di più piccolo e in apparenza inutile di un hobbit della Contea. Bilbo, per l'appunto.

Olsen insiste molto su questo punto, specie nella prossima e ultima lezione, dove si analizzano gli ultimi capitoli de Lo hobbit, con particolare attenzione alla battaglia dei Cinque Eserciti. La guerra tra orchi e umani, più che l'uccisione di Smaug rappresenta la vera catastrofe della storia.

2 commenti:

Marco Grande Arbitro ha detto...

Quanto ho adorato questi capitoli... furono davvero pieni di tensione. E poi arrivarono le aquile: magnifiche!

Coscienza ha detto...


Le aquile sono il salvatutto per eccellenza :-D