Domani. Cronaca del
contagio è un romanzo di Massimo Spiga, prodotto mediante la sua
casa editrice, la Heisenb3rg Studio (che per bizzarre assonanze
continua a ricordarmi una fabbrica di birra...) Sono venuto a
conoscenza del sito e del romanzo attraverso una segnalazione
ultrarapida del Blog del Dr. Manhattan, e avendo fame di cervelli
di horror zombiesco ho deciso di provare qualcosa di diverso, dalle
produzioni più blasonate.
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In un flashback toccante, Malerba rievoca
un'adolescenza anni Novanta fanaticamente alla ricerca di nuove
sensazioni e nuove frontiere. Tra un'occasionale strizzata d'occhio
nietzschiana e riferimenti alla cultura pop, Andrea Malerba
rappresenta il perfetto esempio del trentenne disilluso e sfasciato,
colpito dalla crisi economica nel momento stesso in cui concludeva
una laurea già inutile in partenza. A salvare un protagonista troppo
caricaturale, viene in soccorso una certa coglionaggine di Malerba,
che oscilla tra slanci di eroismo ingenuo e manie infantili.
In
questo senso riuscitissimo appioppargli come spalla/ damsel in
distress/ concorrente Laura Bukhalov, una zingara sedentarizzata che
funziona da seconda protagonista. Laddove Malerba ha un "curriculum
lungo quanto il braccio" che tuttavia si risolve sempre in
monologhi interiori senza risultare utile, Laura sa il bulgaro,
l'inglese e l'italiano e a tutti gli effetti è la controparte "pratica" di Malerba. E' Laura a essere in odore di promozione, è
Laura a essere in amicizia con la leader della troupe televisiva. Il
rovesciamento è chiaro: la laurea in epistemologia non vale nulla
mentre le conoscenze alla buona della zingara svolgono un ruolo
fondamentale. Tuttavia, questa scissione tra teoria e pratica si
traduce anche nelle scelte morali del romanzo: sebbene Malerba sia un
drogato, non cessa di cercare di fare “la cosa giusta” mentre
Laura ricerca la mera sopravvivenza a ogni costo.
Non a caso il ruolo di
Malerba nelle prime pagine è solo di trasportare l'attrezzatura
televisiva da un luogo all'altro, né più né meno un animale da
soma, quasi un cammello che simmetricamente corrisponde infatti allo primo
stadio dell'Oltreuomo secondo Nietzsche.
La mia generazione è l'ultima in classifica. Non è sempre stato così. Nati negli anni di piombo, siamo cresciuti nella furia visionaria dei 90'. Abbiamo imparato a parlare con le macchine ancora prima di farlo con gli umani, e con le macchine, interconnesse tra loro, ci hanno portato ovunque e mostrato ogni cosa. L'immaginario pop è stata la nostra unica e vera religione. I suoi sacramenti sono stati videogames, giochi di ruolo, libri e fumetti: il vecchio Cristo ammuffiva su una croce, mentre il nostro dormiva sogni simili alla morte nella città sommersa di R'Lyeh o gonfiava i muscoli marchiati dalle sette stelle di Hokuto...
La partenza del romanzo è
dunque mainstream e i lettori più esigenti potrebbero trovarlo
fastidioso: gli zombie ci sono, state tranquilli, ma diluiti
parecchio in avanti nel testo. A tutti gli effetti l'introduzione
potrebbe funzionare bene per un romanzo "vissuto" e per un attimo
ho temuto di aver pescato quei brutti romanzi dove il tema fantastico
viene usato come fastidiosa cornice per parlare d'altro.
Poi,
l'imprevisto accade. Mentre visitano Belene, una visita in
autorizzata a luoghi poco puliti si rivela controproducente: nel giro
di poche pagine l'epidemia zombie scoppia, e con violenza inaudita.
Spiga accelera parecchio nel giro di poche pagine: la tensione
schizza all'improvviso, per un evento dapprima casuale, poi scoppia
in violenza militare, ancora umana: per degenerare infine nella
carneficina zombie cui siamo abituati. La progressione, dalla
scoperta dei primi zombie al virulento diffondersi dell'infezione
segue in tal senso una progressione geometrica: sono dapprima una
decina, poi cento, infine migliaia.
Raramente ho incontrato un
romanzo che sia pianificato così esponenzialmente: più si va
avanti, più le sfide che incontra il protagonista si elevano alla
seconda, alla quarta, alla decima. Fino a metà storia, eccezion
fatta per lo strafatto protagonista, il romanzo segue un copione
romeriano, tra case assediate e ultime resistenze con tanto di
Elicottero (di Zombicide?) a soccorrerti.
Conoscendo i videogiochi,
Malerba non ha problemi a maneggiare armi da fuoco, e paradossalmente
lo stile asseconda questa svolta, riflettendo nelle descrizioni e
nell'azione grottesca un ritmo da videogioco. Spezzate le atmosfere
mainstream, passiamo dunque al primo Romero, per approdare a Left
4 Dead.
Se il copione tradizionale
della zombie-story già scricchiolava spaventosamente nella prima
parte, nella seconda la storia sterza bruscamente e per poco non
rompe il semiasse. Ricoverato in un carcere militare a Belene, il
romanzo sdoppia stile e tematica: Malerba è ora portatore del virus
zombiesco, e viene sottoposto a un massacrante regime di
interrogatori e torture.
Nei sogni e nelle
allucinazioni è sempre più vicino a un entità chiamata Algol, un
dio cosmico più Ligottiano che Lovecraftiano, che rivela a Malerba
d'essere un prescelto. Lo stile tenta di elevarsi, di mostrare ciò
che non può essere mostrato. L'effetto a volte riesce, ma spesso
sfugge qualche sbadiglio.
L'intero abisso si dilata e vibra attorno a me. Concentrandomi, riesco a scorgere il baluginare rosso di un fitta rete di simboli. Mi circonda, si stende ovunque in un ribollire di frattali caleidoscopici. Le icone luminescenti sono presenti anche sul mio corpo e sulle mie mani. Nonostante il buio sia perfetto, questo sostrato simbolico mi permette di orientarmi. E' il codice primordiale che si cela dietro la pelle dell'universo... la lingua e l'anima di questo abisso. Non riesco a decifrare il significato delle icone di cui è composta. Germogliano, si replicano e svaniscono davanti a me con uan grazia del tutto organica, intersecandosi sui piani delle geometrie non euclidee. Mi chiedo quale vasta e impenetrabile intelligenza le abbia concepite.
Gli interrogatori e il
nuovo ambiente del carcere/ ospedale al contrario sono una copia
carbone di un qualunque Resident Evil, a cui corrispondono anche i
diversi personaggi, dallo scienziato al militare tutti piuttosto
macchiettistici. Il design quasi videoludico dei diversi spazi –
corridoi, celle, dormitorio – diventa evidentissimo nella seconda
carneficina del romanzo, dove i soldati muoiono a respawn, uno dopo
l'altro, meccanicamente.
Verso il finale che non
spoilero, c'è l'ennesima svolta: non più cosmicismo lovecraftiano,
o ritmo forsennato, ma un piglio quasi scientifico: più che zombie
questi sono ormai alieni, che zombizzano il vecchio pianeta terra in
nuove e meravigliose forme carnivore.
Credo sia ormai ovvio
l'aspetto che volevo sottolineare: un romanzo contenitore che
assimila un po' di tutto, lo centrifuga e in alcuni capitoli
funziona, in altri meno. L'omaggio a Lovecraft rischia di
trasformarlo in parodia, mentre scorrono alla grande i capitoli di
splatter puro.
Sul sito dell'autore sono
inoltre disponibili quattro ebook gratis, intitolati Armi Narrative Sperimentali.
Ne ho finora letto il primo, In Silenzio, una sorta di
storia di fantascienza su una colonia carceraria, ma con più neuroni
di Riddick e una carica di misticismo rivoluzionario niente male. Si
perde nella parte centrale, ma recupera con un finale
autodistruttivo.
Riporto il "metodo di
fabbricazione" del racconto, perché interessante:
L’obiettivo del motore narrativo di In Silenzio è buttare a mare tutta la pianificazione (soggetto, schede dei personaggi, scalette, etc) ed iniziare subito a scrivere un nuovo racconto, senza per questo rinunciare ad una trama ben calibrata ed uno sviluppo asciutto del racconto, in cui ogni elemento contribuisca fattivamente al progresso della vicenda. È quindi improvvisazione strutturata. Di norma, l’improvvisazione letteraria, nella migliore delle ipotesi, produce delle storie elementari, sconclusionate o disarticolate, mentre, in quella peggiore, precipita in pensierini degni della scuola elementare. Ecco i vari passaggi che ho usato per aggirare questo problema:
1) Ho usato il sistema di creazione di scenari del gioco di ruolo Durance (scritto da Jason Morningstar, pubblicato dalla Bully Pulpit Productions nel 2012) per generare l’ambientazione. L’intero procedimento mi ha portato via meno di cinque minuti. Naturalmente, qualsiasi gioco di ruolo che preveda la generazione rapida di scenari randomizzati può sostituire Durance (una variante interessante potrebbe essere Microscope della Lame Mage Productions).
2) Ho scelto la tragedia Prometeo Incatenato di Eschilo come traccia per il plot.
3) Ho scelto un’interfaccia metaforica ottimale per il genere di riferimento, ovvero la fantascienza, stabilendo alcune conversioni simboliche fisse: ad esempio, tutti gli Dei nella tragedia saranno rappresentati da istituzioni umane, tutte le creature elementali (come le Ondine) diverranno alieni, e via dicendo. Nota bene come sia proprio questo passaggio a dare l’impronta “ideologica” fondamentale al racconto: se avessi invertito i ruoli di Dei e creature elementali, ad esempio, In Silenzio sarebbe stata una storia molto più simile ad Alien, un horror fantascientifico incentrato sulla sopravvivenza.
4) Ho iniziato a scrivere il racconto, facendo riferimento al testo di Eschilo per quanto riguarda svolte narrative e tematiche. L’intera storia è stata prodotta in un unico esercizio di improvvisazione, senza alcuna pianificazione precedente e con interventi di editing minimali. Il risultato è, nel contempo, un’interpretazione, un remix ed una riflessione sulla tragedia greca originale.
A mio giudizio c'è una
contraddizione di fondo nel voler scrivere di getto, senza schemi
prefissati e ammettere di utilizzare poi generatori di scenari tanto
meccanici: ma l'esperimento è affascinante e ammetto che sono
tentato di provarci.
5 commenti:
L'unico vantaggio lo vedo nel fatto che il lavoro di pianificazione è in buona parte svolto da altri, ma in questo senso non è diverso da utilizzare una struttura anziché una trama - come il solito viaggio dell'eroe. Non sono sicurissimo che l'autore abbia fatto questo, però. Sembra piuttosto che abbia svuotato la tragedia di Eschilo (scelta difficile), conservandone la struttura e riempiendola con gli altri elementi scelti come illustrato nei punti 1 e 3. In questo caso la scrittura è comunque in parte "assemblaggio", quindi non del tutto libera, ma l'assenza di una outline da seguire è, almeno in parte, improvvisazione, nella misura in cui può esserlo quella di un musicista jazz su un dato giro di accordi... però l'accompagnamento, in effetti, riesce a seguire il solista.
Commento molto acuto, anche se sono stato un po' a digerirlo. Io farei notare che oltre alla struttura anche l'ambientazione è generata "a caso".
Il procedimento scelto mi ricorda un po' certe Mod per i videogiochi. Ha scelto un'ossatura di base - la tragedia di Eschilo - e ha mascherato i suoi diversi elementi con nomi e descrizioni diverse... Ma alla base resta la tragedia di Eschilo, solo "moddata". A questo dobbiamo poi aggiungere l'ambientazione, a sua volta generata meccanicamente (ma non per questo meno interessante).
Con questo non voglio dire che quest'Arma Narrativa Sperimentale non funzioni, anzi è un ebukko più che piacevole! :-D
Io per improvvisazione intendo sedersi al tavolo e scrivere per l'appunto di getto il racconto. Anche negando di aver progettato già tutto, in realtà una scaletta degli eventi è già in testa, quindi l'improvvisazione "vera" difficilmente esiste (a meno che il racconto non faccia davvero schifo! LoL!)
In realtà mi ero espresso maluccio. Ogni tanto scrivo più per capire che per dire qualcosa, come in questo caso. Io sono rimasto a suo tempo affascinato dalla tecnica di scrittura a partire da una struttura, anche se non sono mai riuscito ad applicarla, e il procedimento descritto qui dall'autore ci si avvicina. Se ti interessa, ne parlavano su Strategie Evolutive.
Beh non so se involontariamente o meno, ma era un commento cmq molto interessante, ne avessi più spesso di commenti del genere :)
p.s. ho cancellato il secondo commento identico al primo (scherzetto di blogspot, immagino)
Confermo la mia volontà di non pubblicare commenti doppi! :)
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