venerdì 6 giugno 2014

Sepolta in fondo al mar...


Bioshock Infinite è il tipico gioco sottovalutato perché tutti lo reputano sopravvalutato.
Tra giocatori che rifiutano di giocarlo per conservare il “bel ricordo di Bioshock” (sic!), giocatori che accusano il gameplay old style di essere troppo semplicistico, ma lodano senza remore giochi indie altrettanto ripetitivi e semplicemente recensori che smerdano ogni gioco nuovo per far vedere quanto sono duri&severi, il titolo di Ken Levine non se l'è passata affatto bene. Ed è un peccato. Perché specie con gli ultimi due Dlc, il lavoro di ricamo e raccordo dell'imponente background del mondo di Ken Levine ha raggiunto ottimi risultati.

Rapture, del primo Bioshock, è un'utopia Randiana dove l'egoismo di uomini troppo intelligenti per essere umani è degenerata in una società senza né legge né morale, dove uomini deformati dall'abuso di sostanze psicotrope vivono sul fondo di una magnifica città sottomarina art deco.

Columbia, di Bioshock Infinite, è un'utopia ottocentesca dove una gigantesca cittadella volante che simboleggia l'orgoglio degli stati Uniti d'America s'è resa indipendente, fluttuando di cielo in cielo preda di una violenta guerra civile tra l'ultracapitalismo dei Padri Fondatori, cocktail di religione, industria e razzismo anglomane e l'anarchia comunitaria della Vox Populi, operai e schiavi guidati da Daisy Fitzroy, figura ricalcata sui molti, troppi rivoluzionari che a fine 800 vengono consumati dalle loro stesse lotte intestine.

Se Ken Levine nel primo Bioshock svergognava i Libertari per cui lo Stato non esiste e solo il più forte deve sopravvivere, in Bioshock Infinite la satira inarrestabile è diretta contro un capitalismo selvaggio che sfrutta la religione cristiana per giustificare un classismo asfissiante e una Xenofobia più mostruosa dei suoi stessi mostri che accusa. Nel primo (ma ancor di più nel secondo) c'è davvero tanto, di quel materiale da mettere sotto esame. Se c'è un gioco da tesi di laurea, è questo.
Incidentalmente, Bioshock Infinite è anche la perfetta satira dello steampunk: laddove la moda attuale è di dipingere con toni nostalgici il passato della Bell'Epoque, come un “bel mondo” dove “vigeva l'ordine” qui il velo (di Maya?) viene strappato e gli Stati Uniti svelano un volto selvaggio, dove la scienza serve i padroni dell'Industria e la più totale assenza di legge domina rapporti di tipo schiavistico tra classi borghesi e operai-macchine.

Ahh il salutismo di Rapture! ^^
E poi c'è Elizabeth. L'obiettivo di Bioshock Infinite. La ragazza da salvare. O ancora: la ragazza medium che apre squarci temporali in più mondi, più luoghi, più tempi. Autentico passepartout narrativo che permette di saltare di luogo in luogo, Elizabeth è la chiave per imbastire distopie altrimenti irrealistiche e metter in moto una trama eccezionalmente complicata.
Ovviamente questo poco importa al recensore: la sceneggiatura è sbrigativamente chiusa con un “è pieno di mindfuck!” e se va bene, esce un 8, un 7, un 5. Gameplay scarso, scarso, scarso! Mah. Datemene altri, di giochi con gameplay così scarso ma trame, ambientazioni, originalità, tette del genere. Il mercato ormai obbedisce sempre più agli input degli utenti, e (purtroppo) con input del genere difficilmente faremo molta strada.

Quindi non sorprende che quest'ultimo Dlc di Levine, autentico testamento d'addio, sia passato tanto in silenzio. L'Elizabeth di Columbia (o almeno una delle sue tante incarnazioni) finisce su Rapture e viene progressivamente trascinata in un'avventura sanguinosissima e sibillina, che cerca a furia di manifesti e varchi nel tempo di intrecciare le due distopie, la Città del Cielo (Columbia) e la Città del Mare (Rapture). Il lavoro di Levine abbonda di contraddizioni e errori logici e ciò non di meno lo sforzo è d'ammirare. Il momento in cui si mescolano i ricordi della prima giocata di Bioshock e quelli d'Infinite fanno sentire davvero straniti, un po' come se un chirurgo da strapazzo ti rovistasse nel cervello. Non a caso una delle scene di quest'ultimo Dlc ti getta a confrontarti con l'aguzzo ago di un torturatore che vorrebbe operarti una lobotomia transorbitale. E' una scena di gioco che vista dalla prospettiva della vittima risulta davvero disturbante, fin troppo ben fatta.

Tutta l'avventura, in effetti, nello sforzo d'immergere il giocatore nella mente di Elizabeth risulta profondamente disturbante. In parte sopratutto per la misoginia di Ken Levine che non sembra comprendere il concetto che una protagonista femminile possa cavarsela da sé. Ragazze guerriere? Nahhh! Di scenario in scenario, il fantasma registrato di Booker ri-compare, a volte contestualizzato nella svolta narrativa, ma nel 90% dei casi buttato lì come deus ex machina a salvare la protagonista. Elizabeth è un personaggio dalla psicologia di gran lunga più sfaccettata di Booker, ritrovarsi tra le tette la vocina di Booker che ti commenta in sottofondo è piuttosto irritante. Avete presente quegli amici che continuano a tormentarvi convinti che potrete trovare felicità e sicurezza solo con loro, o certi appiccicosissimi parenti? Ecco, la sensazione è simile.

Al di fuori di tante sbavature, la maniera con cui Levine trasmette l'ideologia delle sue Distopie è sempre efficace. Secondo una definizione che ne dava il buon Zizek nella Pervert's guide to ideology...

According to our common sense, we think that ideology is something blurring, confusing our straight view. Ideology should be glasses, which distort our view, and the critique of ideology should be the opposite, like, you take off the glasses so you can finally see the way thigs really are. This precisely, and here the pessimism of the film, of They Live, is well justified, this precisely is the ultimate illusion: Ideology is not simple imposed on ourselves. Ideology is our spontaneous relationship to our social world – how we perceive each meaning and so on and so on. We in a way enjoy our ideology. To step out of ideology – It hurts. It's a painful experience...


Bambina disegnata con lo stampino. Frangetta, giubbotto, espressione "m'hanno rotto lo smartphone buaahh"
Un esempio calzante e al passo coi tempi è senza dubbio dato dall'ultimo trailer del gioco Homefront 2: The Revolution. Se sorvoliamo sul fatto che l'idea della Corea del Nord che invada gli Stati Uniti sia una palese cazzata, troviamo qui condensate in poche scene il classico immaginario totalitario: marce militari, brutalità gratuita e squallore a tutto spiano. Nelle prime scene al posto di blocco i soldati coreani picchiano a sangue diversi civili inermi. L'intento è chiaro: mostrare direttamente al giocatore chi siano i cattivi, e quanto malvagio e fuori di testa sia Kim Jong-un. 
L'avventura poi continua, il bravo civile imbraccia le armi e falcia i cattivi musi gialli e uccide a sangue freddo in un attentato soldati che facevano solo il proprio dovere. Solite cose. Non c'è nessuna sottigliezza in questa rappresentazione: c'è l'idea di un potere oppressivo che si mostra senza nascondersi, che urla continuamente “Sono cattivo!” e gonfia i muscoli calpestando gattini pucciosi per evitare che il giocatore/spettatore si confonda.

Quant'ho invece sempre apprezzato in Levine è come l'ideologia delle sue distopie non sia mai mostrata in modo così rozzo. Piuttosto, al di là degli splicer è sempre allusa nell'ambientazione, nel setting. Sfumata come se fosse l'unica possibile, quella “normale”. L'ordine giusto delle cose.
Il grosso del lavoro è ovviamente affidato ai manifesti. La pubblicità che è invece propaganda mascherata, i manifestini appesi ovunque, i discorsi dei nemici.

Quando il Dlc parte, Elizabeth è a Parigi. Una Parigi d'inizio 900, raffinata e gaudente. 
Bambini che ballano, giovani pittori all'opera, musicisti che suonano, educati gentiluomini che drinkano il caffè della mattina. Eppure, dopo una tempesta, il cielo diventa nero, partono i lampi, la gente si chiude in casa. E un grande manifesto stracciato pubblicizza ora la rivoluzionaria tecnica della Lobotomia, come “grande” conquista della “scienza”.
E' una trovata ancora piuttosto rozza, ma efficace. Quanto oggi definiremmo senza dubbio una bestialità, un abominio, era all'epoca pratica incoraggiata, anzi “progresso” dell'umanità. Quant'è normale, anzi approvato e/o ignorato in un contesto, diventa mostruoso in un altro: ideologia.

Nella decadente Rapture, due sono invece gli ambienti che colpiscono il giocatore un minimo attento, per quanto siano mostruosamente carichi d'ideologia.

Il primo è un negozietto porno di quart'ordine, ininfluente nella storia.


Riviste, fonografi, manifesti di film: c'è un po' tutto l'assortimento che in quantità dilagante caratterizzerà l'età contemporanea. Il profondo edonismo, la ricerca assoluta e personale del singolo è sempre stata caratteristica propria di Rapture e non poteva non coinvolgere la sfera sessuale. Non a caso al di là di un rubizzo marinaio, un poster mette in mostra un essere androgino alla ricerca “del proprio io e della propria soddisfazione personale”, dove chiaramente l'accento è posto sull'insindacabile necessità del singolo di auto-soddisfarsi pienamente. Il secondo poster è invece del genere sadomaso, che non a caso è l'altra tipologia di sesso che per eccellenza ricerca un chiudersi in sé stessi, che accumula barriere su barriere (corde, cavi, catene, bavagli ecc) e che in ultima analisi cerca sempre una soddisfazione profondamente egoista.
Sempre nello stesso luogo, Elizabeth rinverrà il plasmide Peeping Tom, che permette oltre all'invisibilità (temporanea) una visione raggi-x per le pareti. Utilissimo per il combattimento, incidentalmente è pubblicizzato nel negozio come l'aggeggio per eccellenza del voyeur. Ancora una volta, personale soddisfazione. Non andrebbe sottovalutata la carica ideologica nella pornografia.

Il secondo è una palestra di una scuola elementare.


Il disegnatore si è dato da fare per riprodurre il personaggio inventato di Ryan the Lion, pupazzo dell'ideologia sfrenata di Jack Ryan. Il leone Ryan insegna a badare a sé stessi; insegna a non fidarsi degli altri; insegna a essere nella vita il più possibile egoista, selfish e ambizioso. Il leone Ryan insegna che calpestare gli altri con ogni mezzo possibile e immaginabile è bene, purché permetta la vittoria. Insomma, quella piccola, innocua palestra diventa un microcosmo ancora una volta del brainwashing all'opera in Rapture.

Abbiamo una lavagna, l'ennesimo poster.
“Angolo della vergogna” e “Non condividerò i miei giocattoli”.



Abbiamo l'antagonista di Ryan the Lion, un malvagio topo cattolico papista: occorre infatti ricordarsi che siamo negli anni 20/30, quando ancora la Chiesa era considerata un'istituzione teocratica dura&pura, parte integrante di quello Stato che Ryan aborrisce perché limita quell'ambizione crudele che tanto mirava a liberare. Bei tempi, quando il pontefice non era il commesso dello zuccheroso Supermarket dell'Amore Universale
Sapete l'ironia? Ryan the Lion esiste per davvero, è un personaggio di un fumetto per bambini sulla tolleranza >__<

Nel suo viaggio, Elizabeth finisce per fare un salto da Rapture a Columbia, finendo dritta dritta nelle ultime fasi della rivoluzione di Daisy Fitzroy
Molto discretamente, Levine rivela dettagli sulla vita di questa rivoluzionaria che la spinge in una luce nuova, decisamente più umana. La parte meno convincente di Bioshock Infinite era proprio cercare di far equivalere sullo stesso piatto il capitalismo dei Padri Fondatori e il movimento anarchico-comunitario della Vox Populi: dalle idee opposte, il secondo conseguenza del primo, arrivavano tuttavia a identici picchi di violenza. 
Daisy si macchia di un delitto atroce (o meglio ci prova) e le nuove forze dai cappucci rossi dei rivoluzionari sembrano solo sostituire i quadri dirigenti, senza davvero mutare la situazione. Come a dire: non è cambiato nulla, sono tutti uguali e sono tutti cattivi. 
L'idea era interessante, ma la realizzazione falliva su tanti livelli. Il più ovvio era che la “Rivoluzione” si colloca al termine del gioco, e lasciava pertanto poco spazio per svilupparsi. Il secondo era che “l'ideologia” come ho poveramente tentato di analizzare, mancava totalmente. L'ideologia implica un certo livello d'ipocrisia; una “normalità” che non è tale, un modus vivendi accettato come il migliore possibile. La realtà quotidiana si deforma solo per qualche evento traumatico, come indossare gli occhiali in Essi Vivono. Nel turbine sanguinario di una rivoluzione non c'è questa normalità e non c'è quest'ideologia. La giustizia sbrigativa di Daisy Fitzroy è giustizia diretta, brutale, ma in quanto tale non ha ipocrisia. E' l'equivalente femminile di Robespierre, figura che ammiro proprio perché come Kant in filosofia, non si cura di accorgimenti e piccolezze: tira avanti, applica quanto ritiene sia giusto. Inumano.

Quest'uomo andrà lontano, perché egli crede in tutto ciò che dice. (Mirabeau)

Ci vuole una speciale stupidità per arrivare a tanto, ma molto eroismo si nutre di stupidità.
L'ultimo Dlc accentua quest'aspetto, dando quasi un'aura Shakespiriana a Daisy, che si scopre decisa a sacrificarsi, pur di spingere Elizabeth a diventare quello che è diventata, pur insomma di far andare avanti la rivoluzione e sistemare le cose.
Né Booker DeWitt né Daisy Fitzroy né Elizabeth riusciranno a cambiare l'asfissiante ideologia del Capitale di Rapture/Columbia. Ma passo dopo passo sveglieranno Jack, l'eroe senza nome del primo Bioshock nel lontano 2008. Che finalmente incepperà il dannato meccanismo.
Cerchio completo? Tanto di cappello (a tuba) a Ken Levine.

La magnifica lady Anna Ormeli. Cosplay nel cosplay. Pura magnificenza. 

Fonti:
Recensione a suo tempo di Bioshock Infinite di Bittanti, apparsa su Rolling Stones
Sul vecchio, primo Bioshock c'è un'intervista sul libro "In nome del padre" piuttosto interessante (in particolare il concetto di “acquario al contrario”).
Un'analisi (fin troppo superficiale) del ruolo della Religione nei videogiochi è offerto da un breve saggio americano, Religion in Digital Games. Multiperspective and Interdisciplinary Approaches.

Nessun commento: